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Cina, "nella norma" (finora)
il boom delle infezioni respiratorie

(Foto iStock)

di Agnese Codignola

La notizia di un’elevata incidenza di malattie respiratorie, tra le quali molte polmoniti, tra i bambini cinesi, per alcuni esperti è stata una sorta di preoccupante déjà vu, amplificato dalle immagini dei Pronto Soccorso pieni di piccoli pazienti e dei loro genitori che stanno facendo il giro del web. Era cominciata così anche nel 2019, con focolai di polmoniti, e quasi nessuno, inizialmente, aveva capito ciò che stava accadendo. Per questo, memori della sottovalutazione tanto delle autorità cinesi (che nel loro caso sfociava nell’omertà), quanto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che aveva fatto ritardare di almeno un mese l’allarme sul Covid, favorendo la diffusione della pandemia, in molti, tra i virologi e gli epidemiologi di diversi Paesi, hanno chiesto più informazioni e chiarimenti. Ciò che vogliono evitare è, appunto, che si riproponga una situazione come quella, che facilmente potrebbe sfuggire di mano, e dare vita a una nuova pandemia. 

Fortunatamente, le risposte arrivate finora, così come le interpretazioni e le ipotesi avanzate, sembrano rassicuranti: in Cina, Paese dove la politica zero Covid, che prevedeva norme severissime e isolamenti continui, è stata abbandonata solo alla fine del 2022, sta accadendo quello che si è visto in numerose altre nazioni nel primo inverno libero da restrizioni, e cioè un aumento di tutti i virus, funghi e i batteri che colpiscono l’apparato respiratorio, visibile in tutta la popolazione, ma in modo particolarmente evidente tra i bambini. Ciò accadrebbe sia perché, stando a scuola, giocando e spostandosi, i piccoli sono più esposti ai contagi, sia perché non pochi di loro non hanno mai avuto contatti diretti con i microrganismi più comuni, o ne hanno avuti pochissimi, sia perché l’antibiotico-resistenza alle molecole più utilizzate in questi casi (come l’azitromicina) è in aumento, arrivando anche all’80% dei bambini, e spesso non vi sono altre armi farmacologiche disponibili per combattere l’infezione.

A lanciare l’allarme era stato il sito di monitoraggio internazionale ProMed, che aveva notato un aumento significativo dei ricoveri negli ospedali pediatrici di Pechino, della regione di Liaoning e di altre città soprattutto del nord della Cina, al quale l’OMS aveva risposto chiedendo alle autorità cinesi ulteriori informazioni epidemiologiche e sanitarie su alcuni dei più comuni microrganismi che provocano sintomatologie respiratorie. Tra questi figuravano diversi virus influenzali e quello respiratorio sinciziale, i rinovirus, gli adenovirus e i coronavirus, ma anche il batterio mycoplasma pneumoniae, che - stando a quanto riferito dai media locali - sembra particolarmente attivo, così come lo era stato in Europa e Nordamerica nei primi mesi invernali dopo l’abbandono dei lockdown. In effetti, secondo uno degli ospedali di riferimento, il Beijing Chaoyang Hospital, la positività dei tamponi al mycoplasma sarebbe del 60% tra i bambini, e solo del 6% tra gli adulti: una differenza che spiega molto, e che sembra confermare l’ipotesi che si tratti di una delle periodiche crisi provocate da questo batterio, che è noto per manifestarsi con particolare aggressività a intervalli di tempo che oscillano tra i tre e i sette anni. Oltretutto, non si riuscirebbe a combatterlo efficacemente, essendo gli antibiotici scarsamente o per nulla efficaci contro di esso.

Secondo l’agenzia di stampa Reuters, la situazione sta mettendo a dura prova il sistema sanitario cinese: anche se per ora non sono state prese misure eccezionali, la National Health Commission avrebbe ordinato di lasciare più posti negli ospedali ai bambini malati, aumentando la normale capienza ed estendendo gli orari di ricevimento, e avrebbe sollecitato tutti i centri sanitari a distribuire farmaci adeguati, e a promuovere attivamente le vaccinazioni disponibili soprattutto tra anziani, bambini e soggetti fragili.

In una conversazione con il sito Stat News, che si occupa di medicina, la direttrice generale del dipartimento per la preparazione e prevenzione delle epidemie e pandemie dell’OMS, Maria Van Kerkhove, è stata molto chiara: ciò che emerge dai dati cinesi, ma anche dal sistema di sorveglianza internazionale Global Influenza Surveillance and Response System,  e dalle analisi genetiche delle sequenze depositate nel grande database internazionale GISAID, è che ci sono 13 patogeni (10 virus e 3 batteri) che stanno imperversando tra i bambini, perché la maggior parte di loro non è stata esposta a nessuno di essi, o quasi, negli ultimi tre anni, e perché i farmaci efficaci sono pochissimi.

Tuttavia, l’incidenza di queste malattie, anche tra i più piccoli, sarebbe ancora al di sotto della media di ciò che si verificava in ogni inverno prima della pandemia (in particolare, di quanto si è osservato nell’inverno precedente, quello 2018-2019), e in linea con quanto visto in Occidente dopo le riaperture, e non sarebbe quindi affatto anomala. Infine, non sarebbe stata identificata alcuna variante atipica, né dei virus, né dei batteri, né dal punto di vista genetico, né da quello clinico (cioè dei sintomi che produce).

Del resto, anche in Francia, nelle ultime settimane, si è registrato un aumento del 44% delle consultazioni dei pediatri per sospette polmoniti da mycoplasma pneumoniae, a conferma del fatto che il cosiddetto rebound (rimbalzo) delle infezioni respiratorie post-Covid è un fenomeno che interessa moltissimi Paesi.

Ci sono comunque aspetti che dovrebbero tranquillizzare le opinioni pubbliche mondiali: dopo la pandemia, il sistema globale di sorveglianza è molto migliorato, e oggi è assai più improbabile rispetto al 2019 che un virus anomalo, o una epidemia, sfuggano ai controlli per settimane, perché questi ultimi, ormai, sono sempre incrociati e provengono da più fonti: per questo, al momento, non ci sono motivi di allarme, ha sottolineato Van Kerkhove.

Piuttosto, la direttrice indica un altro tipo di preoccupazione: quello per le conseguenze della cosiddetta Covid fatigue, cioè del fatto che le persone non vogliono più sentir parlare di Covid, nonostante i rischi e anche se le attuali varianti stanno provocando nuove ondate di contagi. La pandemia è stato un trauma collettivo, ha ricordato Van Kerkhove, e la reazione delle persone è comprensibile, e prevista. Tuttavia, quella dei governi, che stanno smantellando i sistemi di prevenzione, tracciamento, sequenziamento, vaccinazione e altro attivati nei mesi della pandemia è ingiustificata, e sbagliata: è un errore che potremmo pagare a carissimo prezzo. Non solo ci sono milioni di persone che stanno ancora lottando contro il Long Covid, che siamo lungi dall’aver decrittato e affrontato in modo efficace nelle sue innumerevoli manifestazioni - ha spiegato ancora Van Kerkhove - ma, per quanto la situazione sia migliorata, SARS-CoV-2 potrebbe diventare nuovamente pericoloso. Il virus muta molto e, per esempio, non c’è un adeguato sistema di sorveglianza negli animali, e la storia dei gatti di Cipro che abbiamo riportato sul nostro sito nei giorni scorsi fa fa capire che rischi vi siano. Inoltre moltissime persone, nonostante vaccinazioni e infezioni precedenti con il virus SARS-CoV-2, si stanno re-infettando, e non si sa ancora molto in proposito. Infine, si dovrebbero studiare molto meglio le connessioni con il cambiamento climatico. C’è, insomma, ancora moltissimo da capire e, soprattutto, non bisogna per nessun motivo abbassare la guardia, perché il Covid è ancora presente, e noi lo conosciamo troppo poco.

Data ultimo aggiornamento 29 novembre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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