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Anche le mestruazioni potrebbero essere molto più sostenibili: con assorbenti in PLA

Anche i prodotti per le mestruazioni possono essere più sostenibili di quelli utilizzati oggi dalla stragrande maggioranza delle donne, assorbenti e tamponi costituiti per il 90% da materiali plastici che finiscono dispersi in mare e nell’ambiente. Diventano migliori, da questo punto di vista, se sono realizzati in biopolimeri e, in particolare, in acido polilattico o PLA, una molecola biodegradabile, ricavata per lo più dall’amido del mais.

Lo dimostra, analisi alla mano, uno studio effettuato dai ricercatori dell’università di San Paolo, in Brasile, pubblicato su Sustainability Science and Technology, nel quale sono stati eseguiti tutti i test che determinano la sostenibilità di un oggetto, ovvero quelli che valutano le emissioni e gli altri parametri associati alla produzione e poi gli indici legati alla durata della vita, alla degradazione e a tutto ciò che succede durante e dopo l’utilizzo. Il risultato è stato impressionante, perché gli assorbenti in PLA hanno un impatto ambientale che è 17 volte inferiore rispetto a quello dei prodotti classici.

L’aspetto più critico è legato alla fornitura di mais, coltura protagonista delle monocolture che, a loro volta, hanno gravi impatti ambientali in numerosi paesi, in termini, per esempio, di deforestazione e perdita di biodiversità, ma il bilancio resta comunque più che favorevole, rispetto alla plastica, anche perché per questi scopi possono essere impiegati anche scarti di altre lavorazioni del mais.

E qualche numero aiuta a capire perché varrebbe la pena di incentivare l’uso di assorbenti in PLA. Ogni donna, durante la sua età fertile, utilizza circa 120 chilogrammi di assorbenti. Nel mondo, ogni anno 200.000 tonnellate di plastica derivate da questi prodotti finiscono nella spazzatura e da lì, in una porzione maggioritaria, in mare. Ogni assorbente classico ha la stessa quantità di plastica di quattro buste.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 13 maggio 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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