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C’erano anche prima del Covid: gli ultimi
vent’anni di epidemie e pandemie

Nei 23 anni precedenti la pandemia di Covid 19, le tre malattie per le quali ci sono stati il maggior numero di focolai epidemici e pandemici sono state l’influenza, la MERS o sindrome respiratoria del Medio Oriente, supportata da un altro coronavirus rispetto a Sars-CoV 2, ed Ebola. Seguono colera, febbre gialla, infezione da meningococco, Sars-CoV (la prima), Polio, Dengue e Marburg. Lo riporta l’OMS nel suo ultimo rapporto, pubblicato su PLoS Global Public Health, nel quale sono state prese in esame 2.789 DON, cioè Disease Outbreaks News, le notifiche di focolai critici che tutti i paesi riferiscono all’organizzazione, arrivate a Ginevra, sede centrale, tra il 1996 e il 2019 e nelle quali sono tenuti a specificare la zona coinvolta, le dimensioni del contagio, e le caratteristiche dell’agente patogeno.

Per quanto riguarda i virus influenzali, che anche oggi preoccupano molto per la persistente pandemia di aviaria in atto da mesi tra i volatili, ci sono stati 776 focolai, e il paese più colpito è stato la Cina, con 218 focolai sui 262 segnalati, mentre per la MERS il primato è stato dell’Arabia Saudita, paese in cui la MERS è endemica, con 179 DON. Ebola ha invece flagellato la Repubblica Democratica del Congo, con 105 focolai.

Il rapporto sottolinea come ci siano ancora troppe lacune nel sistema di segnalazione – per esempio, dai paesi dell’Est Europa non sono arrivate quasi segnalazioni, anche se alcune epidemie si sono verificate anche in quelle zone. Un altro caso evidente è quello dei virus influenzali in Nord Africa: in Egitto sono state segnalate 115 epidemie, ma nella vicina Libia neppure una, un’evenienza impossibile, oltretutto considerando le difficoltà dell’assistenza sanitaria in quel paese.

E’ insomma indispensabile e urgente, come sottolinea Naturemigliorare significativamente la rete di sorveglianza globale, per contenere le epidemie e allertare per tempo in caso di spillover o di situazioni particolarmente rischiose, o che possano sfuggire di mano.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 22 febbraio 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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