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C’è un’altra “pandemia” che avanza:
quella di miopia tra bambini e ragazzi

di Agnese Codignola

C’è un’epidemia silenziosa (se vogliamo usare questo termine) che continua a crescere in tutto il mondo da anni, e che durante la pandemia ha subìto un’accelerazione evidente: quella della miopia tra i bambini e i ragazzi. Il principale indiziato è la diminuzione del tempo passato all’aria aperta, che permette all’occhio di tenere sempre allenati i muscoli che regolano la visione da lontano, e di beneficiare dell’esposizione alla luce, necessaria per il buon funzionamento dei recettori specifici. Inoltre, tra le cause vi sarebbe anche l’uso sempre più prolungato dei dispositivi elettronici, che abituerebbe l’occhio a distinguere solo scenari con pochi particolari, rispetto all’enorme varietà della visione della realtà esterna, sia essa naturale o meno. 

Al tema ha dedicato un lungo articolo la rivista Nature, che ha fatto anche il punto sugli approcci che si stanno sperimentando per evitare di avere nuove generazioni di miopi. La miopia, tra l’altro, quando grave, può favorire il distacco della retina, glaucoma, degenerazione maculare, e non andrebbe quindi mai sottovalutata.

I MECCANISMI - Nelle persone miopi, il bulbo oculare (in pratica, l’occhio) è più allungato, e questo causa una visione sfocata da lontano. Tra le cause della distorsione anatomica, oltre a una predisposizione genetica, in base a studi effettuati su modelli animali, vi sarebbero alcuni squilibri di neurotrasmetittori come la dopamina, secreta nella parte posteriore dell’occhio in risposta alla luce. Se ci si espone a una luce in misura insufficiente, la dopamina è bassa, e a risentire di tale carenza è anche struttura dell’occhio.
Secondo un’altra teoria, inoltre, la differenza la farebbe l’enorme complessità degli ambienti esterni, che allenerebbe costantemente l’occhio, al contrario dell’eccessiva semplicità di quelli interni. Sarebbe proprio la stimolazione continua data dal panorama esterno a impedire al bulbo oculare di allungarsi troppo, inviando alla retina specifici segnali di stop. Negli ambienti interni, dove al massimo la distanza è di pochi metri, e dove gli oggetti non presentano la stessa ricchezza di particolari o sfumature, non ci sarebbe la medesima necessità, e i segnali di stop sarebbero molto ridotti, con il risultato che il bulbo continuerebbe a deformarsi.

I DATI - In tutto il mondo e, da alcuni anni, nelle generazioni più giovani, si assiste al cambiamento anatomico associato alla miopia. Per esempio,  uno studio effettuato a Hong Kong su oltre 20.000 bambini ha mostrato che l’incidenza dell’allungamento a sei anni è raddoppiata, rispetto a prima della pandemia. Il fenomeno, comunque, era già in atto: nel 2015 lo aveva segnalato, tra gli altri, la stessa Nature, in un articolo intitolato “il boom della miopia”; mentre altre previsioni indicavano che nel 2050 metà della popolazione mondiale di tutte le età sarebbe diventata miope, con un raddoppio dell’incidenza avvenuto in meno di 40 anni. Ma, secondo stime successive, l’incremento potrebbe raggiungere livelli anche superiori, e a metà del secolo ci potrebbe essere un aumento di tre o quattro volte, rispetto ai primi anni duemila.

PIÙ TEMPO ALL’ESTERNO - Per cercare di contrastare l’avanzata della miopia, uno dei rimedi suggeriti è teoricamente facilissimo da utilizzare, e a costi di fatto quasi nulli: bisogna far trascorrere ai bambini più tempo all’aria aperta. Secondo diversi studi randomizzati (studi, cioè, in cui i partecipanti vengono assegnati in modo casuale a diversi gruppi di trattamento), gli effetti si vedono anche solo con un’ora al giorno di permanenza all’esterno. In un altro esperimento, diventato un riferimento, condotto a Taiwan e chiamato Tian-Tian 120, 1,2-1,9 milioni di bambini di età compresa tra uno e sei anni esposti a due ore di luce esterna al giorno hanno avuto un chiarissimo beneficio, con un freno all’aumento galoppante della miopia che, invece, si misura in tutti gli altri Paesi del Sud Est asiatico. Taiwan è così diventata un Paese che ha numeri molto migliori rispetto ai vicini, senza che il rendimento scolastico, che rimane tra i più elevati al mondo, ne risenta minimamente, anzi.

Tuttavia, come scrive ancora Nature, in società sempre più competitive, dove l’orario scolastico è fitto di lezioni, e dove gli spazi a misura di bambino sono ridotti, programmare uscite regolari, quotidiane, di almeno un’ora, è molto meno semplice di quanto si potrebbe pensare. Ma il Tian-Tian 120 dimostra che cambiare non solo è possibile, ma ha effetti assai positivi sullo sviluppo generale dei bambini, che all’aria aperta compiono anche più attività fisica, e migliorano l’umore.

IL BOSCO IN CLASSE - Comunque, quando non si riesce a organizzare la permanenza all’aria aperta, si può cercare di portare l’esterno all’interno, cioè di riprodurre in vari modi ciò che, del mondo esterno, ha effetti positivi sullo sviluppo dell’occhio: per esempio, si possono usare tappezzerie e disegni che riproducono panorami naturali, luci specifiche, oppure finestre, reali e virtuali. I risultati, in alcuni casi, sembrano promettenti.
Per esempio, nella città di Lijiang, in Cina, un oculista ha realizzato alcune tappezzerie che riproducono, con la maggiore complessità possibile, scenari naturali, per i bambini di alcune scuole. Secondo i suoi dati, presentati a un congresso e non ancora pubblicati, dopo un anno l’incidenza dell’allungamento dei bulbi tra i bambini che erano stati nelle classi decorate con i disegni era apparsa molto inferiore alla media.

Sempre in Cina, l’adozione di plafoniere più luminose e di luci montate sulle lavagne sembra aver ridotto l’incidenza di miopia dal 10 al 4%, in un solo anno. Un risultato simile si è avuto anche con la realizzazione di finestre grandi fino a costituire l’intera parete, anche se in questo caso l’intervento non è a costo zero, ovviamente, e si rivela quasi sempre impraticabile per motivi architettonici, in scuole già attive. 

LA LUCE - C’è poi chi punta sulla somministrazione diretta di luce, da ottenere in vari modi, anche se in questo caso non tutti gli esperti sono convinti, e le prove sono ancora insufficienti.

In Australia, per esemepio, si stanno sperimentando alcuni occhiali che emettono una luce blu-verde, progettati inizialmente per sconfiggere il jet lag. Subito dopo l’uso compaiono effettivamente alcuni cambiamenti positivi, ma l’efficacia a lungo termine non è stata ancora dimostrata. 

Un sistema analogo è stato brevettato da un’azienda tedesca, la Dopavision, che punta sulla realtà virtuale. L’azienda sta sperimentando un visore che fornisce luce blu a onde corte al cosiddetto “punto cieco”, il punto della retina in cui si collega il nervo ottico. Negli occhi dei conigli, questa terapia provoca un aumento significativo dei livelli di dopamina, un effetto che potrebbe spiegare perché, nei test clinici pilota, il trattamento si è mostrato promettente nel limitare l’allungamento del bulbo oculare nelle persone. Al momento è in corso in Europa una sperimentazione nella quale i bambini indossano i visori mentre giocano ai videogiochi, ma se il sistema sia davvero utile resta da dimostrare. 

Alcune ricerche suggeriscono invece che le lunghezze d’onda cruciali siano quelle ancora più corte. Ricerche di laboratorio condotte nei topi e nei pulcini hanno infatti mostrato che l’esposizione alla luce viola potrebbe rallentare o prevenire la progressione della miopia. Gli oftalmologi della Keio University School of Medicine di Tokyo hanno testato questa idea in un paio di studi randomizzati in cui bambini miopi di età compresa tra 6 e 12 anni indossavano occhiali con montature che emettevano luce viola per diverse ore ogni giorno. Tuttavia, anche dopo mesi o anni di utilizzo degli occhiali protettivi, il trattamento ha avuto scarsi effetti sulla traiettoria di crescita dei bulbi oculari. Secondo alcuni esperti, l’origine del fallimento potrebbe risiedere nella lunghezza d’onda sperimentata, compresa tra 360 e 400 nanometri (nm), e decisa dopo studi su roditori. L’occhio umano, infatti, non risponde a quella lunghezza d’onda, ma potrebbe farlo a onde luminose emesse a 420 nm, come si vede nei toporagni, che hanno un occhio molto simile a quello umano. I test sono in corso, e i primi risultati sembrano confermare che anche nell’uomo i 420 nm possano essere efficaci. Se i primi dati fossero approfonditi e confermati, si potrebbe pensare a lampade dalla luce viola, da usare in vari momenti della giornata.

Ma c’è anche chi ha pensato alla luce rossa, con la cosiddetta “terapia ripetuta a luce rossa di basso livello”, che sta conoscendo un successo crescente in diversi Paesi. Il trattamento prevede l’uso di un dispositivo da tavolo che assomiglia a un microscopio, e che emette un laser a bassa intensità direttamente negli occhi dell’utente. Originariamente sviluppato per altre patologie oculari, si ipotizza che funzioni migliorando il flusso sanguigno nel bulbo oculare, e quindi con un meccanismo che sarebbe completamente distinto dall’esposizione alla luce che stimola la dopamina. In uno studio durato un anno, condotto in dieci scuole primarie di Shanghai, i ricercatori hanno scoperto che i bambini ad alto rischio di sviluppare miopia che ricevevano la terapia con la luce rossa, somministrata per tre minuti due volte al giorno, per cinque giorni alla settimana, avevano un rischio dimezzato di diventare miopi rispetto a chi non era stato sottoposto alla "cura". Tuttavia, sarà necessario attendere altri dati, prima di poter riporre le speranze nella luce rossa, perché uno degli autori dello studio cinese, Mingguang He, oftalmologo del Politecnico di Hong Kong, è anche tra gli azionisti dell’azienda australiana che produce i dispositivi al laser, la Eyerising International.

Nel frattempo, comunque, già oggi migliaia di bambini cinesi si sottopongono alla luce rossa ogni giorno, tre minuti al mattino e tre alla sera, in quella che viene vissuta come un’abitudine quotidiana simile all’atto di lavarsi i denti. Inconsapevolmente, questi bambini stanno realizzando una grande sperimentazione di massa, anche se gli strumenti, per ora, li pagano le famiglie, che di solito li affittano al costo di un paio di dollari al giorno. Nei prossimi mesi dovrebbero invece iniziare vere sperimentazioni pilota a Singapore e Taiwan.

Se il metodo fosse confermato, e soprattutto se fosse escluso qualunque dubbio sulla sicurezza (che qualche specialista avanza, dopo il caso di una bambina di 12 anni che ha riportato un danno retinico), si potrebbe pensare a una “somministrazione” gratuita nelle scuole, per dare a tutti i bambini, compresi quelli delle famiglie meno abbienti, la possibilità di prevenire la miopia, e di farlo regolarmente per anni.

L’ATROPINA - Da alcuni anni, infine, in diversi Paesi si pratica anche una terapia farmacologica, a base di atropina. Anche in questo caso, il bersaglio è la dopamina, che aumenta. Secondo uno studio randomizzato condotto su quasi 500 bambini di Hong Kong di età compresa tra i 4 e i 9 anni, la somministrazione di atropina alla sera funziona e riduce l’incidenza di miopia, ritardandone anche l’esordio.

Ciò che emerge da tutti i tentativi in corso è, comunque, secondo Kevin Frick (economista della Johns Hopkins University di Baltimora, che sta partecipando allo studio sulla miopia infantile delle US National Academies of Science, Engineering, and Medicine), la difficoltà a scegliere il sistema più efficace, per chi pianifica gli interventi di salute pubblica: è il caso di finanziare esperimenti con finestre virtuali e reali, visori e raggi laser, e dispositivi di vario tipo? Oppure sarebbe meglio, semplicemente, rimodulare gli orari scolastici, permettendo che i bambini escano all’aperto ogni giorno, se necessario recandosi fuori da scuola, magari in un parco pubblico? Si tratterebbe di programmi a rischio zero, che avrebbero effetti positivi di gran lunga superiori ai costi necessari, quantificabili in milioni di casi di miopia evitati, oltre ad altri effetti positivi, per esempio sul peso e sull’umore. E che sarebbero realizzabili immediatamente, senza bisogno quasi di nulla. 

 

Data ultimo aggiornamento 10 giugno 2024
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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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