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Buoni risultati dal filgotinib
contro l’artrite reumatoide

di Agnese Codignola

Un nuovo farmaco in sperimentazione, il filgotinib, ha mostrato buoni risultati contro l’artrite reumatoide, malattia autoimmune progressiva che può compromettere in misura significativa la qualità della vita. L’efficacia del filgotinib è emersa nell’ambito di uno studio clinico di fase 3 (quella su un ampio numero di pazienti, che precede la commercializzazione, se i buoni risultati vengono confermati e se le autorità sanitarie concedono il via libera). La sperimentazione è avvenuta in modo randomizzato (come si dice in termine tecnico, cioè casuale) e in doppio cieco (cioè senza che né i medici né i partecipanti sapessero che cosa veniva somministrato: il farmaco, o un placebo) per 24 settimane dai reumatologi dell’Università della California, sede di Stanford, che hanno pubblicato i risultati del loro lavoro sulla rivista scientifica JAMA.

Il filgotinib appartiene alla famiglia delle cosiddette piccole molecole, e blocca selettivamente uno degli enzimi chiave dell’infiammazione tipica della malattia, il JAK1. La sua efficacia è stata studiata in 114 centri di 15 diversi Paesi, su un totale di poco meno di 450 pazienti, l’80% dei quali donne; ciascun paziente ha ricevuto un placebo, o uno tra due dosaggi del farmaco. 

Dopo 12 settimane, il 60% delle persone che avevano ricevuto il farmaco hanno mostrato una riduzione di almeno il 20% dei sintomi. Solo il 30% dei pazienti che erano stati assegnati al placebo, invece, hanno ottenuto effetti positivi. Dopo 24 settimane la tendenza è risultata confermata e, soprattutto, la malattia ha mostrato segni evidenti di rallentamento, fattore molto importante, visto che i danni alle articolazioni, una volta progrediti, non possono essere eliminati. Infine, dopo 24 settimane circa un paziente su tre tra quelli trattati poteva essere considerato in remissione, contro il 12% dei pazienti di "controllo". I benefici sono emersi entro un paio di settimane, e il farmaco non è sembrato associato a gravi effetti collaterali, come dimostra il basso numero di abbandoni dello studio (inferiore a quello dei pazienti di controllo).

L’artrite reumatoide colpisce in media una persona su cento, e in tre casi su quattro, per motivi ignoti, si tratta di una donna. Le terapie classiche, basate su altre piccole molecole, sono efficaci, almeno in linea teorica, nel 70% dei casi, ma i numeri reali sono inferiori, perché solo un malato su due assume i farmaci consigliati, a causa degli effetti collaterali associati. Coloro che non rispondono vengono spesso indirizzati a nuovi, costosissimi farmaci biologici, che però appaiono efficace solo in un paziente su due.

Data ultimo aggiornamento 25 ottobre 2019
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: artrite reumatoide



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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