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Bere tè, caffè e cacao aiuta a preservare
e a rigenerare i vasi di chi ha un lupus

Le persone colpite dal lupus eritematoso sistemico o SLE non solo non devono temere di bere caffè o tè, ma dovrebbero far qntrare queste bevande e queklel a base di cacao (senza latte e con poco zucchero) nella loro dieta, perché la caffeina aiuta a preservare le pareti dei vasi che, in loro sono particolarmente a rischio.

Nel lupus l’infiammazione tipica della malattia, unita alle terapie come i cortisonici, provoca un danno cronico ai tessuti dei vasi che, a sua volta, aumenta il rischio di sviluppare un infarto o di avere un ictus. Per questo ai pazienti vengono di solito consigliate alcune misure preventive come l’astensione dal fumo, il controllo dei valori di colesterolo, la riduzione dei dosaggi di farmaci fino a quelli minimi. A questi consigli si potrebbe presto aggiungere quello di consumare caffè o tè o cacao, perché la caffeina e le molecole simili contenute in quelle bevande (come nel cioccolato e cacao amari) favoriscono la rigenerazione dei vasi, ed esercitano una decisa azione antinfiammatoria. La conferma arriva da uno studio effettuato dai ricercatori dell’università La Sapienza di Roma, appena pubblicato su Rheumatology. In esso infatti sono stati analizzati le condizioni dei vasi e i parametri pressori nonché le abitudini alimentari di 31 pazienti, seguiti molto da vicino per una settimana. Il risultato è stato che coloro che bevevano abitualmente caffè e simili avevano una condizione dei tessuti e valori di pressione migliori. Test in vitro condotti con le cellule dei pazienti hanno poi confermato l’azione della caffeina sulle cellule dei vasi. La speranza degli autori è che presto vengano condotti studi su un numero maggiore di pazienti, per giungere a dare indicazioni più specifiche. Nel frattempo si può comunque dire che tè, caffè e cioccolata sono ottimi, per chi soffre di lupus.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 15 ottobre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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