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Sindrome linfoproliferativa,
buoni risultati con il sirolimus

Il farmaco immunosoppressore sirolimus, già utilizzato nella cura di alcuni tumori, oppure dopo i trapianti e per alcune patologie autoimmuni, appare efficace nel tenere sotto controllo la sindrome linfoproliferativa o ALPS, malattia autoimmune del sangue (in particolare, dei linfociti), con un’origine genetica, che si manifesta nell’infanzia, provocando anemie, infezioni ed emorragie.

Contro l’ALPS non esistono farmaci specifici e, di norma, vengono prescritti i corticosteroidi. Non tutti i malati, però, rispondono a questi medicinali, e anche quando l’effetto è positivo si cerca di limitare nel tempo queste terapie, per evitare possibili danni collaterali (osteoporosi, diabete, cataratta e altro). Una nuova arma potrebbe diventare il sirolimus, già in uso come immunosoppressore, che si è rivelato molto efficace nell’ambito di uno studio (su un piccolo numero di pazienti, però) pubblicato dalla rivista Blood.

I ricercatori - ematologi e immunologi del Children’s Hospital di Filadelfia (Stati Uniti) - hanno curato per sei mesi con il sirolimus 30 bambini e ragazzi (tra i 5 e i 19 anni) che avevano varie patologie autoimmuni del sangue. Di questi, i ragazzi con l’ALPS erano 12, e ben 11 entro 1-3 mesi hanno mostrato esami del sangue normali (parametro considerato un indice di remissione della malattia); il dodicesimo ha invece raggiunto lo stesso traguardo dopo 18 mesi. Inoltre, tutti hanno potuto interrompere l’uso dei cortisonici. Ora i dati dovranno essere confermati su un campione più ampio di malati – hanno ricordato gli studiosi - ma se i risultati rispetteranno le attese, il sirolimus potrebbe ricevere molto presto il via libera per la nuova indicazione e andare così in aiuto dei piccoli pazienti.

A.C.
Data ultimo aggiornamento 31 ottobre 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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