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Alcune forme di schizofrenia hanno un’origine autoimmune

Anche la schizofrenia, almeno in alcuni casi, potrebbe avere un’origine autoimmune. A sostenerlo è Laurent Groc, un neurologo francese, direttore dell’Institut Interdisciplinaire de neuroscience del CNRS di Bordeaux, cui è stato attribuito, nei giorni scorsi, il premio della Fondation FondaMental, istituito quattro anni fa dal gruppo industriale Dessault con lo scopo di sostenere la più trascurata delle ricerche, quella sulle malattie mentali. Il neurologo, cui andranno 230.000 euro, negli ultimi anni ha dimostrato che nel 10-20% dei malati sono presenti autoanticorpi (cioè anticorpi rivolti, per errore, contro l’organismo stesso) capaci di individuare i recettori di un neurotrasmettitore molto importante, chiamato NMDA, e di immobilizzarli (situazione che potrebbe favorire l’insorgenza della schizofrenia). Inoltre, nell’ambito di un piccolo studio clinico non ancora pubblicato, Groc ha visto che la somministrazione di farmaci immunosoppressori già in uso in altre malattie autoimmuni ha effetti che lui stesso ha definito spettacolari.

Secondo il quotidiano Le Figaro, il denaro ricevuto da Groc verrà utilizzato per approfondire ancora il meccanismo che presiede a queste forme di schizofrenia, e per mettere a punto un test di diagnosi precoce che consenta di indviduare questa patologia alle prime manifestazioni.

A.C.
Data ultimo aggiornamento 16 dicembre 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: schizofrenia



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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