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Autismo e microbiota intestinale alterato:
un nuovo approccio diagnostico-terapeutico

L’autismo potrebbe essere associato a una disbiosi, cioè a un’alterazione del microbiota intestinale molto specifica, e visibile già prima dei quattro anni di età. Questo, almeno, è quanto emerso da uno studio pubblicato su Nature Microbiology dai ricercatori dell’Università Cinese di Hong Kong. E ciò significa che, se i dati fossero confermati, si potrebbe pensare a kit per la diagnosi precoce, e probabilmente a nuovi approcci terapeutici basati su pro- e prebiotici, che riescano a riequilibrare la flora batterica anomala.

Per giungere ai loro risultati, gli autori hanno analizzato le feci di oltre 1.600 bambini e ragazzi di età compresa tra 1 e 13 anni, con e senza un disturbo dello spettro autistico. Anche grazie a un apposito sistema di intelligenza artificiale, hanno identificato 51 specie batteriche, 18 tipi di virus, sette di funghi e 14 di archea insieme a 27 geni batterici e a 12 vie metaboliche fortemente alterati negli autistici. Verificando queste popolazioni, e in particolare un panel di 31 di esse, i ricercatori hanno correttamente identificato l’autismo nell’82% dei test.

Oggi l’autismo viene diagnosticato quando il bambino ha in media sei anni, e spesso dopo lunghi percorsi terapeutici. Con il test proposto la diagnosi potrebbe arrivare almeno due anni prima, ed essere facile da eseguire.

Le cause dell’autismo sono prevalentemente genetiche, ma nello sviluppo della malattia entrano in gioco fattori ambientali come l’inquinamento o i pesticidi, l’età avanzata della madre e, appunto, le disbiosi, che potrebbero diventare uno strumento diagnostico molto efficace. Infine, agire sul microbiota potrebbe avere anche un significato terapeutico. Ma prima, come sempre, bisognerà confermare questi dati in popolazioni più ampie di bambini, e studiare ancora meglio tutti i dettagli.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 15 luglio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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