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Il mare rende più nostalgici della montagna o delle foreste. E la nostalgia è benefica

Il paesaggio che assicura un maggiore benessere psicologico passando attraverso una sensazione di nostalgia è quello marino, o comunque quello dove vi sia dell’acqua. Foreste, montagne, campagne coltivate e scorci urbani sono meno efficaci.

La singolare classifica deriva da uno studio pubblicato su Current Research in Ecological and Social Psychology, nel quale i ricercatori dell’Università di Cambridge hanno interrogato 800 persone di tutte le età, uomini e donne, residenti negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, su quale fosse il tipo di immagine che maggiormente suscitava nostalgia in loro. Circa un quarto (il 26% degli inglesi e il 20% degli americani) ha posto in cima al gradimento il mare, circa un terzo (il 35% degli inglesi, il 30% degli americani) i laghi o comunque i paesaggi con acqua, mentre le scene rurali e quelle di montagne e foreste si sono fermate al 10% in entrambi i campioni. Un quinto degli scenari identificati come positivi erano urbani, ma secondo gli autori questo è dovuto al fatto che la maggior parte dei partecipanti viveva in una città, ed era qui di statisticamente più probabile che un ricordo fosse associato a uno scorcio urbano.

Fino ad alcuni decenni fa la nostalgia era considerata negativamente, ma da tempo si è capito che, in realtà, è un sentimento positivo, perché comporta il fatto di sentirsi parte di una comunità, di aver avuto un passato a sua volta positivo e di essere una persona autentica.

Dal punto di vista neurologico, si ritiene che il cervello umano sia disturbato da visioni troppo irregolari come quelle della montagna o di una foresta, e che invece tragga giovamento da scene ripetitive, frattali, oltreché dalla luminosità della luce che si riflette sull’acqua, dai contrasti cromatici e dai colori freddi.

Per soffrire di nostalgia ottenendone, in realtà, un beneficio, è meglio andare al mare, o su un lago. Del resto, come ricordano gli autori fino nel titolo, è quello che ha fatto Ulisse, cercando Itaca.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 1 agosto 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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