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Artrite reumatoide, contro il dolore
un aiuto dalla mindfulness

La mindfulness, tecnica di rilassamento e meditazione basata sulla concentrazione, la respirazione, lo yoga e lo stretching, può modificare positivamente il modo in cui chi è affetto da artrite reumatoide vive la sua condizione, attenuando sensibilmente il dolore e altri sintomi. A suggerirlo è uno studio pubblicato sugli Annals of Rheumatic Diseases da ricercatori dell’Università di Aukland, in Nuova Zelanda, nel quale una ventina di malati sono stati invitati a seguire un programma di mindfulness di otto settimane, e altrettanti, non coinvolti nel programma, sono stati utilizzati come gruppo di controllo per valutarne i benefici.

Subito dopo i 2 mesi di sedute, e poi ancora dopo altri 2, 4 e 6 mesi, a tutti i pazienti è stato chiesto di riferire in merito alla sensazione di gonfiore delle articolazioni, di rigidità e di dolore. Contemporaneamente è stata misurata la concentrazione di proteina C reattiva, marcatore dell’infiammazione. Ne è emerso che i 20 che avevano praticato la mindfulness avevano avuto a che fare con un’attenuazione generalizzata di tutti i sintomi. Non è stato però rilevato nessun cambiamento significativo nei livelli di proteina C reattiva.

Secondo gli autori ciò che cambia è dunque il modo in cui un malato vive e percepisce il proprio stato; a questo non corrisponde necessariamente un cambiamento fisiologico, ma resta il fatto che vivere meglio i sintomi dolorosi di una malattia cronica è un traguardo molto importante. Farlo con la mindfulness non comporta il rischio di effetti collaterali. Sembra proprio, insomma, che tentar non possa nuocere.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 11 giugno 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: artrite reumatoide, dolore, infiammazione, proteina C reattiva



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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