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Artrite reumatoide, anche i geni contribuiscono ai sintomi

L’artrite reumatoide ha meno segreti, grazie a uno studio internazionale coordinato dagli esperti dell’Università di Manchester (Gran Bretagna), i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista JAMA. Da tempo, infatti, si sospettava che la gravità della malattia dipendesse almeno in parte anche dai geni. A farlo ipotizzare era il fatto che la progressione della malattia è caratterizzata da tratti comuni e da tratti specifici per i diversi gruppi etnici. Finora mancavano però prove convincenti del coinvolgimento del corredo genetico nella determinazione della gravità dei sintomi. A fornirle ha provveduto un gruppo internazionale di reumatologi che ha analizzato il genoma di oltre 4 mila individui con artrite reumatoide, arrivando a individuare varainte del gene più strettamente associato alla malattia - HLA-DRB1 - a loro volta strettamente associate a un decorso peggiore.

La scoperta è importante sia perché conferma che l’esistenza di una predisposizione genetica alla malattia sia perché potrebbe consentire, in futuro, di progettare farmaci specifici per le singole sottopopolazioni di pazienti, di individuare tempestivamente quelli a rischio di andare incontro a un’evoluzione peggiore della malattia e, in questi ultimi casi, di intervenire in modo mirato e più aggressivo.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 28 maggio 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: artrite reumatoide



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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