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Arriva un nuovo anticorpo contro il morbo
di Crohn, e potrebbe essere una svolta

La terapia del morbo di Crohn, malattia autoimmune che colpisce l’intestino e che finora ha obbligato i pazienti a seguire cure come i cortisonici o terapie biologiche per tutta la vita, con risultati non del tutto soddisfacenti e con effetti collaterali significativi, potrebbe essere a una svolta. La Food and Drug Administration statunitense ha infatti approvato un nuovo anticorpo, chiamato guselkumab che, in due studi appena pubblicati su Lancet, si è dimostrato più efficace sia del placebo che della terapia con un altro anticorpo monoclonale, considerato standard. Non solo: ha assicurato a chi, tra gli oltre mille pazienti reclutati lo aveva assunto, chiari segni di remissione come una minore frequenza delle crisi acute e un minore tasso di ospedalizzazioni, riscontri agli esami di imaging positivi e meno complicanze a lungo termine.

Nei trial, chiamati GALAXI 1 e 2, l’anticorpo, che agisce specificamente contro il circuito di una molecola pro-infiammatoria chiamata interleuchina 23 o IL23, è stato messo a confronto (in diversi dosaggi) appunto con il placebo o con l’ustekinumab, un anticorpo che, oltre a bloccare l’IL23, inibisce anche un’altra interleuchina, la 12, per 48 settimane.

Nei numerosi indicatori misurati, il guselkumab, che è stato messo a punto da Johnson & Johnson e che negli Stati Uniti avrà il nome commerciale Tremfya, è stato sempre superiore ai controlli, e non ha rivelato particolari problemi di sicurezza.

E’ probabile che Tremfya arrivi presto, entro qualche mese, anche in Europa, soprattutto se i primi dati provenienti dalla vita reale confermeranno i risultati degli studi. Se così fosse, la vita dei malati potrebbe camiare significativamente in meglio.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 21 luglio 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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