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Anticorpo monoclonale
contro il tumore del polmone

Un anticorpo monoclonale, il pembrolizumab, si è mostrato efficace per il trattamento di pazienti con carcinoma polmonare avanzato non operabile, offrendo, così, una nuova, significativa arma terapeutica per una forma "difficile" di cancro. La conferma è arrivata da uno studio condotto su 300 pazienti. E nei giorni scorsi l’Agenzia italiana del farmaco ha deciso di autorizzare l’uso di questo anticorpo come medicinale "di prima linea", cioè come primo trattamento. Non tutti i pazienti, però - scrive il Corriere della Sera - potranno utilizzare il pembrolizumab (che si è già rivelato efficace anche contro il melanoma). Il farmaco funziona, infatti, solo sui pazienti con tumori al polmone definiti non a piccole cellule, che producano in modo massiccio una particolare proteina, la PD-L1 (grazie a questa proteina il tumore riesce a bloccare le cellule del sistema immunitario che dovrebbero annientarlo. Ma il pembrolizumab la disattiva). Questa nuova terapia, in Italia, potrà essere indicativamente utilizzata per 5-6 mila pazienti all’anno. Ecco la versione integrale dell’articolo pubblicato dal Corriere della Sera (https://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/17_maggio_23/nuove-prospettive-terapia-tumore-polmone-non-operabile-b253f22a-3fd2-11e7-8bca-f274f08efe54.shtml)

Si prospetta un cambiamento significativo nella cura dei tumori al polmone avanzati, non operabili. I malati italiani con questo tipo di patologia potranno accedere (si prevede nel giro di qualche mese) a una nuova immunoterapia oncologica, a base di pembrolizumab. L’AIFA (Agenzia italiana del Farmaco) ha stabilito la rimborsabilità del medicinale sia “in prima linea” (cioè come primo trattamento) sia per i casi già trattati con la chemioterapia.

Lo studio -  Lo studio KEYNOTE-024, che ha condotto all’approvazione di pembrolizumab in prima linea ha coinvolto più di 300 pazienti e ha permesso di osservare il 40% di riduzione del rischio di morte e il 50% di riduzione del rischio di progressione della malattia nei pazienti trattati con il nuovo farmaco. In termini di allungamento della sopravvivenza complessiva, a 1 anno è vivo il 70% dei pazienti in trattamento rispetto a circa il 50% dei pazienti curati con chemioterapia. Inoltre la terapia ha triplicato la sopravvivenza libera da progressione di malattia che, a 1 anno, è risultata del 48% rispetto al 15% con chemioterapia. Lo studio ha evidenziato, inoltre, una sopravvivenza libera da progressione di 10,3 mesi nei pazienti trattati con pembrolizumab rispetto a 6 mesi con la chemioterapia. La molecola in Italia è già utilizzata per il melanoma. «Questo tumore della pelle ha rappresentato il modello per l’applicazione di questo approccio innovativo che ora si sta estendendo con a diversi tipi di tumore come quello del polmone — spiega Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) —. È un’arma che si affianca a quelle tradizionali rappresentate da chirurgia, chemioterapia, radioterapia e terapie biologiche».

Come funziona - I pazienti per cui la terapia potrà essere utilizzata, per la precisione, sono quelli il cui tumore “esprima” la proteina PD-L1. In condizioni normali, le cellule tumorali sono attaccate dal sistema immunitario, che le riconosce come estranee all’organismo e le elimina. L’espressione della proteina PD-L1 sulla propria superficie consente alle cellule del tumore di eludere il riconoscimento da parte del sistema immunitario e quindi di continuare a riprodursi. Per la precisione PD-L1 si lega ad altre proteine, che fungono da recettore (PD-1 e PD-2) sulla superficie delle cellule immunitarie, inibendone l’azione. La nuova terapia agisce a questo livello, contrastando questo sistema chiave-serratura e impedendo così alle cellule tumorali di sfuggire alla “cattura” da parte di quelle del sistema immunitario.

Prospettive - In base allo studio condotto i pazienti che potranno beneficiare maggiormente di questa terapia sono quelli colpiti da carcinoma polmonare non microcitoma (cioè non a piccole cellule) in fase avanzata, non operabile, che esprimano livelli elevati di PD-L1. «Il farmaco negli studi che hanno portato alla registrazione è stato impiegato su pazienti che avevano un’espressione superiore al 50% del Pd-L-1 nel tumore», precisa Pinto. «Su di essi la terapia si è dimostrata poco tossica ed efficace e trattandosi di pazienti con malattia avanzata e/o metastatica il risultato è importante, anche perché la molecola si è dimostrata attiva anche sui fumatori. Le terapie finora sperimentate, anche quelle cosiddette “target”, non hanno finora dato risultati altrettanto soddisfacenti su questi pazienti, il che non sorprende, perché le terapie target si indirizzano verso un particolare bersaglio molecolare e il fumo comporta moltissime mutazioni diverse che conducono alla formazione dei tumori».

Limiti - Una delle condizioni che pone il nuovo trattamento è quindi la selezione dei pazienti, che però non può essere eseguita esaminando il Dna, ma richiede un esame immunoistochimico, per il quale è necessario prelevare tessuto al malato. «Infatti» conferma Pinto, «l’aspetto diagnostico è uno di quelli su cui è necessario lavorare, perché in diversi casi non si riesce ad avere una disponibilità di tessuto sufficiente per l’analisi istochimica». «È indispensabile considerare l’appropriatezza di uso» chiarisce l’esperto, «che si esplica nel definirne la posizione nella strategia di cura del singolo tumore e nell’individuare fattori clinici e biologici che permettano di selezionare i pazienti che ottengono i migliori vantaggi dall’immunoterapia. L’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) da oltre 10 anni ha costituito un gruppo di lavoro permanente con la SIAPEC-IAP (Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica) per la caratterizzazione delle neoplasie in funzione terapeutica. Scopo principale di questo gruppo di lavoro è stato quello di permettere su tutto il territorio nazionale l’accesso ai test patologici e molecolari, per garantire ai pazienti oncologici le analisi patologiche e molecolari necessarie per l’inquadramento diagnostico e la definizione della migliore strategia terapeutica. Con queste finalità sono state prodotte raccomandazioni cliniche e metodologiche per i test patologici e molecolari ed è stato realizzato un programma permanente di controllo di qualità nazionale per i test richiesti dalle norme regolatorie».

Costi - Complessivamente, tenendo contro dei criteri di selezione, si può stimare, approssimativamente, che la terapia potrà essere utilizzata su circa 5-6 mila pazienti all’anno in Italia. Un ciclo di trattamento (circa mezz’ora di infusione in ospedale) dovrebbe costare al Sistema Sanitario Nazionale intorno ai 6 mila euro per ciclo di trattamento, che viene ripetuto ogni tre settimane e mezzo. Sulla durata totale media è difficile pronunciarsi per ora perché, ovviamente, dipenderà dai risultati ottenuti in ogni malato. I costi sono per ora stimabili sulla base di quelli del melanoma,, ma si tratta solo di ipotesi perché l’Aifa considererà probabilmente un rapporto costo-volume, in cui terrà conto anche delle altre indicazioni, come quella sul melanoma (in pratica a volumi crescenti i prezzi per singolo trattamento dovrebbero scendere).
24 maggio 2017 (modifica il 25 maggio 2017 | 12:05)

Data ultimo aggiornamento 25 maggio 2017
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: • Contro i tumori, sempre più immunoterapia


Tags: carcinoma polmonare, immunoterapia oncologica, oncologia, pembrolizumab, tecniche avanzate



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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