CUORE
Anche terapie genetiche
contro il colesterolo alto
La cardiologia incontra la genetica, e i risultati potrebbero rivoluzionare la vita di chi, per motivi appunto genetici, è a forte rischio di malattie cardiovascolari come quelle coronariche o gli infarti. Lo si è capito all’ultimo incontro dell’American Heart Association, la più importante società scientifica di cardiologia degli Stati Uniti (e probabilmente del mondo), svoltosi nei giorni scorsi a Filadelfia, in Pennsylvania, perché in quella sede sono stati resi pubblici, tra gli altri, i risultati di due studi piuttosto particolari. Entrambi, infatti, rappresentano altrettanti proof of concept, cioè sperimentazioni che, nonostante siano state condotte su numeri piccoli o piccolissimi di pazienti, suggeriscono, salvo conferme che dovranno arrivare nei prossimi anni, che la strada intrapresa potrebbe essere quella giusta, cioè che l’approccio genetico potrebbe essere valido e praticabile.
Nel primo caso, la patologia presa di mira è stata l’ipercolesterolemia familiare eterozigote o HeFH, una malattia ereditaria che comporta elevati valori del colesterolo cosiddetto cattivo, cioè delle lipoproteine a bassa densità (o LDL): non meno di tre milioni di persone soffrono di questa patologia, solo tra Stati Uniti ed Europa. Costoro, a partire da un’età molto giovanile, sono ad alto rischio, e devono assumere farmaci per tutta la vita, per scongiurare l’occlusione dei vasi.
Tra le terapie più diffuse ci sono le statine e una classe di farmaci più nuovi, chiamati inibitori di PCSK9 (acronimo di Proproteina Convertasi Subtilisina/Kexina di tipo 9). Questi medicinali sono anticorpi monoclonaliGli anticorpi monoclonali sono anticorpi del tutto simili a quelli che il sistema immunitario produce contro i “nemici” (batteri, virus e altro ancora), ma non sono presenti in modo naturale nel nostro organismo. Vengono creati in laboratorio, grazie a tecniche di ingegneria genetica, e sono mirati contro un preciso bersaglio della malattia, identificato dai ricercatori: per esempio, nel caso del Covid, contro la proteina Spike, utilizzata dal coronavirus per entrare nelle cellule e infettarle. Una volta prodotti, vengono fatti moltiplicare in laboratorio, identici, in un numero grandissimo di copie, o di cloni (per questo vengono chiamati monoclonali), e poi immessi nell’organismo del paziente, in genere tramite infusione (endovena). capaci di bloccare appunto la PCSK9, una proteina che ha un ruolo chiave nel controllo del colesterolo cattivo, perché - in determinati casi - rende più difficile l’eliminazione delle LDL da parte del fegato.
Nei pazienti con l’ipercolesterolemia familiare gli anticorpi monoclonali riescono a neutralizzare la PCSK9, ma solo per un paio di settimane o poco più, ed è necessario ripetere l’assunzione per tutta la vita, con iniezioni frequenti. Da qui l’idea, portata avanti negli ultimi cinque anni da un’azienda statunitense, la Verve, di bloccare una volta per tutte la PCSK9, con un farmaco chiamato Verve 101, che interviene sul fegato (principale produttore di PCSK9) e - grazie a tecniche di ingegneria genetica (CRISPR) - fa in modo che le cellule epatiche producano PCSK9 con una sequenza errata degli elementi fondamentali (le basi) che la compongono, disattivandola.
I primi dieci pazienti su cui Verve 101 è stato provato, in Gran Bretagna e Nuova Zelanda, hanno mostrato una forte riduzione delle LDL (fino al 55% in meno) e della PCSK9 fino all’86%, già dopo una sola infusione del medicinale. Inoltre, l’effetto è rimasto stabile per sei mesi, periodo di osservazione predefinito. Visti i risultati, la Food and Drug Administration (l’ente che regola il commercio dei farmaci negli Stati Uniti) ha concesso l’autorizzazione a procedere con la fase II della sperimentazione, su un numero più alto di pazienti anche americani, al momento in fase di arruolamento.
Occorrerà attendere l’esito dei nuovi studi su ampi gruppo di persone, che andranno controllate per anni, prima di poter introdurre questo tipo di farmaci nella pratica clinica. Tuttavia, i primi dati autorizzano a sperare che CRISPR, tecnica che permette un intervento estremamente preciso sul DNA (non a caso è spesso paragonata all’azione di un paio di forbici molecolari), possa aiutare a trovare terapie definitive per patologie di cui si conosce un bersaglio specifico, sul quale sia possibile intervenire. Nel caso di questi pazienti, ciò potrebbe rappresentare un progresso enorme, perché significherebbe non dover essere controllati e curati per tutta la vita, e non andare incontro a pericolosi eventi acuti. Non per niente Jennifer Duodna ed Emmanuelle Charpentier, ideatrici della tecnica CRISPR, hanno vinto il premio Nobel per la chimica nel 2020.
Anche il secondo studio, uscito sulla rivista scientifica JAMA in contemporanea al congresso dell’American Heart Association, potrebbe portare conseguenze di grande portata. Questa volta il bersaglio della terapia è un’altra proteina coinvolta nel metabolismo del colesterolo, la lipoproteina A, che ha un ruolo molto simile a quelle delle LDL, e che, in molte persone (in media una su cinque), è elevata per motivi genetici. Contro questa proteina non esiste alcun tipo di terapia specifica, né è possibile intervenire con la dieta e lo stile di vita, proprio perché le cause sono genetiche. Secondo alcune stime, nel mondo 1,4 miliardi di persone sono in questa situazione.
Per offrire loro una nuova chance, un’altra azienda, la Eli Lilly, ha messo a punto una terapia genetica, questa volta basata sull’RNA e, in particolare, su frammenti di RNA, chiamati a interferenza, che disturbano le informazioni genetiche necessarie per codificare la lipoproteina, rendendo nulla tutta la sintesi. Il farmaco sperimentale, chiamato lepodisiran, è stato testato dai cardiologi della Cleveland Clinic su 48 pazienti dell’età media di 47 anni. Il risultato è stato che i livelli di lipoproteina A si sono ridotti del 49% con il dosaggio più basso, e addirittura del 96% con quello più alto, mentre con il placebo l’abbassamento è stato solo del 5%. Non sono emerse criticità in merito alla sicurezza, e tutto ciò ha spinto la FDA, anche in questo caso, a dare il via libera alla fase II della sperimentazione, con più pazienti, al momento in pieno svolgimento. Del resto, anche se si tratta di un altro tipo di RNA, i vaccini contro il Covid hanno già dimostrato, in molti miliardi di somministrazioni, che assumere RNA non presenta rischi particolari per la salute, e, anzi, può essere straordinariamente efficace.
Come per la terapia con il CRISPR, anche in questo caso di tratta di un approccio che sfrutta il funzionamento dei geni, sul quale ci sono grandi aspettative, soprattutto nei casi in cui le proteine responsabili di una malattia siano state individuate, e si possa quindi cercare di neutralizzarle in modo definitivo.
La medicina del futuro, non solo in ambito cardiologico, sarà anche genetica, e probabilmente in molti casi sarà davvero curativa. Anche per questo gli studi presentati sono importanti.
A.B.
Data ultimo aggiornamento 16 novembre 2023
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