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Anche gli astronauti possono soffrire
di gravi mal di testa: è la cefalea "spaziale"

Gli astronauti, il cui fisico è messo a dura prova dalla mancanza di gravità, soffrono molto spesso di una particolare forma di cefalea, che si potrebbe definire appunto spaziale, perché si manifesta solo quando sono in orbita. A descriverne le caratteristiche è uno studio condotto su 24 astronauti delle agenzie spaziali europea, giapponese e statunitense che hanno soggiornato nella Stazione Spaziale Internazionale (ISS) tra il 2011 e il 2018, per un periodo massimo di 26 settimane.

Come riferito su Neurology dagli autori, ricercatori del centro di neurologia dell’Università di Zaandam, in Olanda, prima della missione nove di loro non avevano mai sofferto di mal di testa, mentre tre (pari al 38% del totale) ne avevano avuto uno o più nell’anno precedente, ma nessuno dei partecipanti soffriva di cefalee croniche o ricorrenti.

In orbita, invece, su un totale di 3.596 giorni trascorsi sull’ISS, 22 (pari al 92% del totale) hanno avuto un attacco di cefalea o più, per un totale di 378 episodi. Inoltre, nel 90% dei casi si è trattato di una cefalea tensiva, nel 10% di un’emicrania.

Interessante anche la tempistica: la maggior parte degli attacchi si sono verificati nella prima settimana, quando 21 astronauti ne hanno avuto uno (per un totale di 51 episodi). Nei giorni e nelle settimane successive il mal di testa si è ripresentato, ma con minore frequenza, mentre al rientro a Terra, entro tre mesi la situazione è tornata a essere quella di prima. Si tratta quindi di qualcosa che si determina soltanto nellde condizioni di assenza di gravità dell’ISS.

Tra le possibili cause del disturbo ci potrebbe essere un aumento della pressione intracranica, ma saranno necessari ulteriori studi per comprendere meglio che cosa accade. Da questi, tra l’altro, potrebbero arrivare informazioni utili anche per il mal di testa sulla Terra, tuttora conosciuto solo in parte, e su possibili nuovi approcci terapeutici.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 19 marzo 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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