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Anche gli antichi Romani usavano piante allucinogene. E sapevano come conservarle

Anche gli antichi Romani, probabilmente, facevano uso di sostanze allucinogene. Lo suggerisce un ritrovamento eccezionale avvenuto in Olanda, in un sito chiamato Houten-Castellum, nel 2017. Come riportato su Antiquity, infatti, gli archeologi di un team internazionale tedesco-olandese, hanno rinvenuto una cesta per pesci con pesci sepolti a faccia in giù, forse un’offerta votiva, insieme a un osso di capra cavo e chiuso a un’estremità da un tappo di resina di corteccia di betulla. Al suo interno, un migliaio di semi di giusquiamo nero (Hyoscyamus niger), una pianta velenosa della famiglia della belladonna nota fino dall’antichità per i suoi effetti dissociativi, e usata anche per curare la febbre, la tosse e il dolore, in piccolissime dosi. Già il filosofo greco Plutarco ne parlava, descrivendo una sorta di ebbrezza non alcolica, di una forma di pazzia indotta dai semi e, in seguito, lo ha fatto, tra gli altri, Plinio il Vecchio.

Secondo le datazioni effettuate, il “contenitore” risalirebbe a un’epoca compresa tra il 70 e il 100 avanti Cristo, ma l’importanza del ritrovamento risiede anche in un altro fatto. Il giusquiamo è una pianta molto diffusa in Europa, dove cresce spontaneamente in moltissime zone, e per questo è sempre complicato, in caso di ritrovamento, capire se si tratta di un eventoa casuale o meno. In questo caso, però non ci sono dubbi: quei semi sono stati conservati appositamente. Inoltre, in base a ritrovamenti precedenti della stessa zona, si sa che quel tipo di osso animale cavo era utilizzato anche come pipa. In questo caso, però, non c’è traccia di combustione, e dovrebbe quindi trattarsi solo di un contenitore, forse dedicato a un utilizzo rituale, vista la sepoltura.

Un altro fatto sorprendente è che, evidentemente, la farmacologia che si praticava a Roma ha viaggiato, raggiungendo le propaggini dell’impero, dove la medicina era più arretrata.

Infine, l’uso di sostanze psichedeliche è stato dimostrato in diversi popoli antichi, da quelli del Centro e del Sud America fino a quelli siberiani. Anche se non ci sono prove del fatto che i semi venissero usati per questo genere di scopo anche dalle popolazioni dei Paesi Bassi, i ricercatori lo ritengono molto probabile.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 23 febbraio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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