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Ambrosia, individuata
la molecola che scatena l’allergia

L’allergia all’ambrosia (Ambrosia artemisiifolia) coinvolge fattori fino ad oggi insospettati. Un gruppo di ricercatori guidato dagli esperti della Technische Universität di Monaco, in Germania, ha infatti scoperto che una molecola presente nel polline dell’ambrosia, l’adenosina, è un elemento cruciale per l’infiammazione delle vie respiratorie scatenata dalla reazione allergica a questa pianta. La scoperta, pubblicata sulla rivista Allergy, potrebbe portare allo sviluppo di approcci terapeutici del tutto nuovi per controllare questa forma allergica.

L’ambrosia è sempre più diffusa in Europa, Italia inclusa. Le reazioni allergiche che riesce a scatenare possono essere molto violente; fino ad oggi si è sempre pensato che alla loro base ci fosse la reazione dell’organismo a una proteina del polline, Amb a 1, ma questo nuovo studio ha dimostrato che da sola tale molecola induce reazioni molto blande rispetto a quelle rilevate nei soggetti allergici e che per scatenare una reale risposta infiammatoria e la produzione massiccia di immunoglobuline E specifiche (gli anticorpi prodotti in seguito a una reazione allergica) è necessaria anche la presenza dell’adenosina.

Per scoprirlo i ricercatori hanno somministrato ad animali predisposti allo sviluppo di allergie un estratto di polline di ambrosia, una sua frazione specifica o la sola Amb a 1. Dopo 11 giorni di somministrazione, effettuata per via nasale, è stata analizzata la comparsa dei sintomi clinici dell’allergia e la presenza dei marcatori della reazione allergica nel sangue. Ne è emerso che solo la somministrazione dell’estratto totale di polline era in grado di promuovere lo sviluppo dell’allergia. Inoltre eliminando l’adenosina dall’estratto è stato scoperto che la presenza di questa molecola aggrava l’infiammazione polmonare promossa dal polline di ambrosia.

Composti sperimentali in grado di agire sull’adenosina sono già a disposizione degli scienziati. L’intenzione è di iniziare presto a condurre i primi test per verificarne le potenzialità come molecole antiallergiche. 

Data ultimo aggiornamento 3 luglio 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: allergia, cause, immunoglobuline E

Paolo Rossi Castelli

Giornalista scientifico con l’attenzione rivolta soprattutto al mondo della medicina, ha lavorato per la Rizzoli-Corriere della Sera e per Mediaset. Collabora per i temi scientifici con il Corriere del Ticino.

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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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