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Ai criminali conviene togliere la polvere
dalla scena del crimine, è piena di DNA

Come nella fortunata serie televisiva CSI, la scienza forense sta restringendo sempre di più gli spazi di impunità per i criminali, la cui presenza, ora, può essere suggerita anche dall’analisi genetica di un materiale finora relativamente ignorato: la polvere. Con una tecnica illustrata sul Journal of Forensic Sciences, i ricercatori dell’Università del North Carolina e del MIT di Boston hanno infatti dimostrato che, quando non è possibile effettuare su di essa la classica rilevazione del DNA (che richiede frammenti di almeno 100-500 paia di basi), si possono comunque ottenere informazioni molto importanti ricorrendo a un altro tipo di indagine genetica, quella dei polimorfismi singoli o SNPs, cioè delle variazioni sulle singole basi associate a caratteristiche quali il ceppo etnico di provenienza, il colore dei capelli e quello degli occhi. Anche nella polvere, partendo solo da frammenti invisibili di pelle e altri residui organici, queste indagini, opportunamente ottimizzate dagli autori, dicono infatti molto su chi è stato in un certo ambiente (sulo stesso tipo di esami si basa il sito Ancestry.com, che riesce a ricostruire la genealogia in base a un semplice campione inviato per posta).

Per verificarne l’attendibilità, i ricercatori hanno scelto 13 case molto diverse tra di loro, e hanno prelevato campioni di polvere da superfici quali la parte alta del frigorifero, le cornici, le porte, i divani e così via, oltre a campioni di chi risiedeva stabilmente in quegli appartamenti. Quindi hanno verificato gli SNPs, e hanno dimostrato che i campioni di polvere contenevano, nel 93% dei casi, tracce degli abitanti della casa, insieme, in più di un caso su due, a tracce di persone diverse, non residenti, e a tracce miste.

Anche se le informazioni non possono essere sufficienti a legare una certa persona a un crimine, e tra l’altro non dicono per quanto tempo la persona è rimasta nella casa, né quando (aspetti su cui i ricercatori stanno lavorando), possono comunque aiutare le indagini, per esempio dimostrando che, in quell’ambiente, è rimasta una persona caucasica, o asiatica, che aveva gli occhi neri o blu, e così via, e possono quindi costituire una base per ulteriori indagini, così come un rafforzamento di indizi di altro tipo.


Data ultimo aggiornamento 11 aprile 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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