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Aggiungere sempre sale ai piatti cucinati
e già salati è una pessima idea per il rene

Che troppo sale danneggi il cuore e i vasi, favorendo l’ipertensione, è noto da tempo. Ma gli effetti sul rene non erano ancora stati descritti come hanno fatti i nefrologi della Tulane University di New Orleans, che hanno pubblicato uno studio sul tema su JAMA Open Network. In esso infatti gli autori hanno verificato che cosa avevano riferito oltre 465.000 persone che avevano donato i propri campioni e i propri dati clinici al grande database UK Biobank, in particolare prendendo inconsiderazione l’abitudine ad aggiungere sale alle pietanze, e i codici dei ricoveri e delle terapie prescritti. I partecipanti erano di tutte le età (dai 37 ai 73 anni), e sono stati seguiti in media per poco meno di 12 anni. In base a quanto osservato incrociando i dati, è risultato chiaro che più si tende a salare i piatti, e a farlo regolarmente, maggiore è il rischio di sviluppare, nel tempo, una patologia renale cronica, che può portare alla necessità di una dialisi o di terapie non semopre efficaci quanto sarebbe auspicabile. Altri fattori che amplificano ulteriormente i pericoli per i reni, quando si assume troppo sale, sono uno scarso livello di attività fisica e un basso indice di massa corporeo, probabilmente perché il sodio si distribuisce di meno nelle cellule adipose e va più direttamente a danneggiare il rene.

In media, in quasi tutti i paesi del mondo il consumo di sale è circa doppio rispetto a quanto stabilito dall’OMS (meno di 5 grammi di sale al giorno, o 2 grammi di sodio), e infatti sono in corso numerose campagne per la riduzione del sale, per esempio nel pane e nei prodotti da forno e in generale negli alimenti pronti. Aggiungere sale a pietanze già salate non è mai una buona idea, e secondo gli autori questi dati dovrebbero motivare le autorità sanitarie a sensibilizzare le opinioni pubbliche anche sui possibili danni renali, oltreché su quelli per cuore e vasi.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 4 gennaio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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