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A che punto siamo con i vaccini anti-cancro

Dopo decenni di studi e sperimentazioni, i ricercatori sono riusciti a mettere a punto diversi tipi di vaccini anti-tumore. In alcuni casi si tratta di farmaci "classici" che bloccano quei virus (papilloma e certi tipi di virus dell’epatite) responsabili delle infezioni croniche (al collo dell’utero e al fegato) che possono innescare un tumore. In altri casi, i vaccini (di concezione molto diversa rispetto a quelli classici) sono invece diretti contro un tumore già presente nell’organismo, e cercano di spingere il sistema immunitario a distruggere con maggiore efficacia le cellule cancerose. Alcuni risultati positivi sono stati ottenuti con questi nuovi medicinali, spiega Franco Cavalli, direttore scientifico dell’Istituto Oncologico della Svizzera Italiana. Ma i risultati migliori stanno arrivando, in realtà, da altri tipi di terapia immunitaria: quella con gli anticorpi monoclonali e quella che cerca di eliminare, tramite tecniche molto sofisticate, i freni presenti naturalmente nel sistema immunitario (freni che, di norma, servono per evitare i problemi di auto-immunità, cioè di attacco "sbagliato" contro cellule sane dell’organismo stesso da parte del sistema immunitario, ma che risultano controproducenti in una persona colpita da un tumore).

I vaccini chiaramente vengono usati soprattutto per prevenire le malattie infettive - dice Cavalli nella videointervista ad Assedio Bianco - e noi sappiamo che a livello mondiale almeno il 15 percento dei tumori sono il risultato di un’infezione cronica. Questo è soprattutto il caso dei Paesi meno sviluppati, mentre qui da noi solo il 3-5 per cento dei casi di tumore ha un’origine infettiva e si tratta soprattutto dei tumori che vengono dal virus del papilloma, o da certi virus dell’epatite. Contro questi virus noi oggi abbiamo dei vaccini che impediscono la crescita del virus e quindi prevengono la nascita del tumore: sono dunque vaccini preventivi non contro il tumore in se stesso, ma contro l’ infezione che altrimenti porterebbe alla nascita del tumore.

Esistono poi quei vaccini, o vaccino-simili, che vengono usati per trattare dei tumori già esistenti, che sono parecchio diversi dai vaccini che noi usiamo per prevenire le malattie infettive, anche se si basano fondamentalmente un po’ sullo stesso principio, che è quello di usare delle cellule o delle parti di cellule, delle proteine cellulari, rese inoffensive, per stimolare il nostro sistema immunologico che dovrebbe arrivare a distruggere anche le cellule tumorali. Ne esistono diversi di questi vaccini, e ci sono già alcuni studi che sembrerebbero mostrare un qualche vantaggio, ma per ora i risultati sono sicuramente inferiori a quelli che si sono registrati con l’uso o degli anticorpi monoclonaliGli anticorpi monoclonali sono anticorpi del tutto simili a quelli che il sistema immunitario produce contro i “nemici” (batteri, virus e altro ancora), ma non sono presenti in modo naturale nel nostro organismo. Vengono creati in laboratorio, grazie a tecniche di ingegneria genetica, e sono mirati contro un preciso bersaglio della malattia, identificato dai ricercatori: per esempio, nel caso del Covid, contro la proteina Spike, utilizzata dal coronavirus per entrare nelle cellule e infettarle. Una volta prodotti, vengono fatti moltiplicare in laboratorio, identici, in un numero grandissimo di copie, o di cloni (per questo vengono chiamati monoclonali), e poi immessi nell’organismo del paziente, in genere tramite infusione (endovena)., o di quelle sostanze – in parte anche anticorpi – che riescono a sbloccare i freni della risposta naturale del nostro sistema immunologico. Questi anticorpi ci aiutano molto oggi nella terapia, perché li possiamo combinare con sostanze tossiche per il tumore, o allora sono anche gli anticorpi da soli, gli anticorpi “nudi” come vengono definiti, che riescono a modificare la superficie della cellula  (praticamente si moltiplicano i punti d’entrata anche per la chemioterapia o per altre terapie che altrimenti sarebbero abbastanza inefficienti).

In fondo - conclude Cavalli nella videointervista - siamo ancora abbastanza agli inizi, però per la prima volta, dopo molti anni di delusioni, si iniziano a registrare risultati positivi e la speranza è di riuscire a raggiungere dei risultati ancora migliori.’


Data ultimo aggiornamento 18 maggio 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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