Questo sito utilizza cookies tecnici per l'analisi del traffico, in forma anonima e senza finalità commerciali di alcun tipo; proseguendo la navigazione si acconsente all'uso dei medesimi Ok, accetto

L’endometriosi, quando non è diagnosticata,
compromette la fertilità fino a dimezzarla

Le donne con un’endometriosi non diagnosticata hanno una probabilità di concepire che è circa la metà di quella delle coetanee senza la malattia, e questo spiega perché è importante aumentare la vigilanza, da parte degli specialisti, e procedere con gli approfondimenti, quando si presentano mestruazioni particolarmente dolorose e abbondanti, dolore pelvico e altri sintomi cronici che segnalano la sua presenza. 

L’endometriosi, condizione che colpisce circa una donna su dieci, è causata dalla crescita di tessuti uterini al di fuori dell’utero stesso, per esempio nell’ovaio o nelle tube di Falloppio, ma la sua diagnosi, finora, è stata sempre ritardata, a causa della sottovalutazione dei sintomi, e del fatto che la conferma diagnostica si è sempre cercata, storicamente, per via chirurgica. Ciò spiega perché, in media, occorrono sette anni tra le prime manifestazioni e la diagnosi. Anni, però, di fertilità compromessa, stando allo studio appena pubblicato su Human Reproduction, nel quale i ginecologi dell’Università di Helsinki, in Finlandia, hanno analizzato i dati di oltre 18.000 donne di età compresa tra i 15 e i 49 anni che hanno avuto una diagnosi tra il 1998 e il 2012, e li hanno confrontati con quelli di oltre 35.700 donne di pari età, ma senza endometriosi, con un follow up medio di oltre 15 anni. In particolare, hanno osservato il numero di bambini nati vivi, le sterilizzazioni, gli interventi per l’asportazione dell’utero o dell’ovaio, e hanno così visto che le donne con endometriosi, in tutti gli anni che precedono la diagnosi, hanno una fertilità dimezzata, e un numero di figli pari a 1,9, contro i 2,1 delle donne senza la malattia.

Per fortuna, per quanto riguarda le diagnosi ci sono novità: i ginecologi dell’Ospedale Tenon di Parigi hanno confermato, in uno studio appena pubblicato sul New England Journal of Medicine, che essa può arrivare dall’esame dei frammenti di mRNA presenti nella saliva. Il test, che analizza quelli chiamati miRNA, è stato verificato su 200 donne che avevano già avuto una diagnosi, uscendone pienamente promosso, per affidabilità e specificità. Gli approfondimenti e le verifiche sono in pieno svolgimento.

 

A.B.
Data ultimo aggiornamento 7 luglio 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



Warning: Use of undefined constant lang - assumed 'lang' (this will throw an Error in a future version of PHP) in /var/www/nuevo.assediobianco.ch/htdocs/includes/gallery_swiper.php on line 201

Notice: Undefined index: lang in /var/www/nuevo.assediobianco.ch/htdocs/includes/gallery_swiper.php on line 201

Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

Chiudi

Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

VAI ALLA VERSIONE COMPLETA