Questo sito utilizza cookies tecnici per l'analisi del traffico, in forma anonima e senza finalità commerciali di alcun tipo; proseguendo la navigazione si acconsente all'uso dei medesimi Ok, accetto

613 giorni con il Covid: il paziente resistente al sotrovimab con un virus con 50 mutazioni


Notice: Undefined variable: dizionario in /var/www/nuevo.assediobianco.ch/htdocs/story.php on line 255

Stando a quanto se ne sa oggi, il rapporto presentato al congresso della Società europea di microbiologia clinica e malattie infettive svoltosi nei giorni scorsi a Barcellona, in Spagna, dagli immunologi e virologi dell’Amsterdam University Medical Center, è la storia della persona che ha convissuto più a lungo con il Covid: ben 613 giorni, 20 mesi circa, senza mai guarire. E la sua vicenda, ora che è deceduto sia per l’infezione che per le patologie precedenti, è ricca di spunti, e meritevole di approfondimenti. 

Fino dalle prime varianti di Sars-CoV 2 è stata avanzata l’ipotesi che alcune di esse – quelle più sorprendenti e massive – fossero state incubate in persone immunodepresse il cui organismo non riusciva a battere il virus. La continua lotta con il sistema immunitario avrebbe favorito le mutazioni. E in effetti, stando a quanto osservato nel paziente olandese, potrebbe essere andata così. L’uomo, 72 anni al decesso, aveva subito un trapianto allogenico di midollo (cioè con cellule da donatore) per un tumore del sangue, ed era quindi fortemente immunodepresso. In seguito aveva sviluppato un linfoma, per il quale era stato trattato con il rituximab, un anticorpo che prende di mira le cellule B, con lo scopo di limitarne la proliferazione. Ma le cellule B servono anche per combattere le infezioni (da esse nascono anticorpi e linfociti) e per questo l’uomo non riusciva a debellare il Covid, nonostante le vaccinazioni e nonostante fosse stato trattato in seguito anche con un cortisonico e con un anticorpo anti interleuchina 6, il sarilumab, che avrebbe dovuto aiutarlo a sconfiggere il virus. Un dato interessante è quello relativo all’anticorpo monoclonale sotrovimab, uno dei pochi approvati, sviluppato in Ticino dalla Humabs Biomed di Bellinzona, poi acquista dalla statunitense Vir e dal gruppo GSK. Il paziente ha sviluppato resistenza dopo soli 21 giorni, a conferma del fatto, sostenuto da molti virologi, che gli anticorpi monoclonaliGli anticorpi monoclonali sono anticorpi del tutto simili a quelli che il sistema immunitario produce contro i “nemici” (batteri, virus e altro ancora), ma non sono presenti in modo naturale nel nostro organismo. Vengono creati in laboratorio, grazie a tecniche di ingegneria genetica, e sono mirati contro un preciso bersaglio della malattia, identificato dai ricercatori: per esempio, nel caso del Covid, contro la proteina Spike, utilizzata dal coronavirus per entrare nelle cellule e infettarle. Una volta prodotti, vengono fatti moltiplicare in laboratorio, identici, in un numero grandissimo di copie, o di cloni (per questo vengono chiamati monoclonali), e poi immessi nell’organismo del paziente, in genere tramite infusione (endovena)., altamente specifici, contro microrganismi così abili nel generare mutazioni hanno una scarsa efficacia (ancora meno rilevante se si pensa ai costi dei monoclonali, sempre altissimi: per il sotrovimab, circa 4.000 euro al giorno).

Ma ciò che ha sorpreso i medici è stato il numero impressionante di mutazioni accumulate da Sars-CoV2, rilevate in 27 analisi genetiche di altrettanti campioni di tamponi nasofaringei: almeno 50, in parti diverse del virus. E questo rafforza l’ipotesi che sia successo qualcosa del genere anche con varianti come la omicron.

Per quanto se ne sa, il virus mutato se ne è andato con il paziente, che da tempo viveva isolato, usava solo oggetti personali e non aveva infettato nessuno. Di sicuro, la lunghezza della malattia ha compromesso fortemente la qualità della sua vita.

Ora gli studi proseguono, anche per mettere in relazione quanto accaduto con la sindrome post virale del Long Covid, molto diversa, ma la vicenda del paziente olandese dimostra quanto sia importante continuare la sorveglianza genetica, soprattutto nelle persone a rischio come quelle immunodepresse.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 23 aprile 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



Warning: Use of undefined constant lang - assumed 'lang' (this will throw an Error in a future version of PHP) in /var/www/nuevo.assediobianco.ch/htdocs/includes/gallery_swiper.php on line 201

Notice: Undefined index: lang in /var/www/nuevo.assediobianco.ch/htdocs/includes/gallery_swiper.php on line 201

Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

Chiudi

Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

VAI ALLA VERSIONE COMPLETA