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I farmaci beta bloccanti dopo un infarto sono inutili. E’ ora di rivedere le linee guida

Dopo un infarto, se parte (circa il 40-50%) della funzionalità cardiaca è preservata, di solito si consiglia di iniziare ad assumere farmaci noti come beta bloccanti, che rallentano leggermente il ritmo, e lo regolarizzano. Tuttavia, questa indicazione, applicata da decenni, potrebbe presto andare in pensione, perché i dati di un grande studio appena pubblicati sul New England Journal of Medicine non ne sostengono la fondatezza scientifica.

I cardiologi dell’ospedale universitario di Lund, in Svezia, hanno infatti verificato la situazione di circa 5.000 infartuati curati in 564 centri svedesi, estoni e neozelandesi, cui era stato consigliato un beta bloccante, nei 3,5 anni successivi all’evento. Il risultato è stato che non sono emersi benefici statisticamente significativi in nessuno degli eventi che si possono verificare in questi casi, ovvero la mortalità generale, quella da infarti e altre malattie cardiovascolari, gli ictus, i secondi infarti, la fibrillazione atriale, lo scompenso cardiaco, le oscillazioni della pressione e le sincopi: nessuna variazione.

Come hanno sottolineato gli autori, le linee guida che prevedono l’uso di beta bloccanti sono state elaborate diversi decenni fa, quando non erano disponibili le tecniche di disostruzione dei vasi, del posizionamento di stent e simili, e quando anche gli studi clinici erano condotti con meno rigore rispetto a oggi. Probabilmente è giunto il momento di una profonda revisione, anche perché i beta bloccanti comportani effetti collaterali quali l’affaticamento, l’acquiosto di peso e altri. La cardiologia interventistica ha reso la cura degli infarti molto più efficace, con danni al cuore assai più limitati rispertto al passato, e i beta bloccanti non sembrano più avere un ruolo, in questo contesto.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 18 aprile 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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