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In aumento le ricerche scientifiche falsificate (anche con l’”aiuto” dell’Intelligenza artificiale)

L’”investigatrice scientifica” Elisabeth Bik (foto di Amy Osborne/AFP via Getty Images)

di Camilla Stefanini

Si definisce una “detective scientifica”, Elisabeth Bik, e dice di non avere un superpotere. Tuttavia, grazie alla sua vista estremamente acuta e a una insolita propensione a notare figure duplicate, è diventata l’image-checker (l’esperta nel controllo delle immagini) più nota nella comunità scientifica. «Quando ero giovane - racconta ad Assedio Bianco - mi divertivo a trovare quali piastrelle venivano ripetute sul pavimento e sui muri. Le identificavo così facilmente! Ma anche individuare pattern (elementi) ripetuti nelle immagini degli articoli pubblicati dalle riviste scientifiche era un hobby, e spendevo così ore del mio tempo libero». Nata come microbiologa, ha poi trasformato questo “hobby” in un lavoro a tempo pieno, mostrando in un famoso studio da lei pubblicato nel 2016 che il tasso di frode nel mondo della scienza è in realtà molto maggiore di quello che si sospettava.
È anche grazie a lei che il numero di articoli scientifici ritrattati (retracted in inglese), ovvero rimossi dalla letteratura scientifica per la presenza di errori gravi più o meno intenzionali, ha raggiunto il record di 10.000 nel 2023, come riportato dalla rivista Nature lo scorso 12 dicembre. Un aumento che in parte è collegato alla forte crescita "assoluta" del numero degli articoli pubblicati, ma non solo. Secondo Bik, il sistema del publish or perish (pubblica o perisci) su cui oggi si basa la ricerca scientifica è diventato sempre più feroce. Il risultato è che sempre più ricercatori finiscono per falsificare i dati, nel tentativo di aumentare il numero delle loro pubblicazioni. 

Sono soprattutto le figure (foto e immagini prese al microscopio) che illustrano, sulle riviste scientifiche, i risultati di un esperimento, a essere ritoccate. Spesso si tratta di immagini di cellule osservate al microscopio, oppure di bande colorate su gel di esperimenti di western blot (una tecnica che viene utilizzata per rilevare e quantificare le proteine) a subire alterazioni (alcune porzioni, ad esempio, vengono duplicate, capovolte, ruotate o allungate). «Non sempre la manipolazione è fatta con l’intenzione di imbrogliare - spiega Bik.  - A volte i ricercatori esagerano solo per “abbellirle” con il fotoritocco; oppure spesso si tratta di errori onesti dovuti a trascuratezza. In circa metà dei casi, però, l’alterazione è chiaramente fraudolenta, per cui cambiano i risultati dell’esperimento e di solito anche le conclusioni della ricerca».
Ma gli articoli "falsi" che Elisabeth Bik riesce a identificare non sono altro - lei dice - che la punta dell’iceberg delle frodi commesse nella comunità scientifica, destinate ad aumentare, con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale. 

Quanti articoli controlli in un giorno?

«Di solito riesco a esaminare 50–60 articoli, ma non li leggo veramente per intero. Mi concentro solo sulle immagini. Gli articoli più semplici li posso controllare abbastanza velocemente, in uno o due minuti, ma negli ultimi anni i testi pubblicati dalle riviste scientifiche sono diventati sempre più complessi. Alcuni hanno figure con molti pannelli e grafici, e questi richiedono più tempo». 

Qual è la percentuale di frode negli articoli scientifici emersa dalle tue ricerche?

«Dall’analisi di 20.000 articoli, che ho esaminato per il mio studio del 2016, ne ho trovati 800 con figure duplicate, ovvero circa il 4%. Circa metà di queste era stata alterata con l’intenzione di imbrogliare il lettore, quindi circa il 2% degli articoli conteneva immagini fraudolente. La maggior parte dei ricercatori sono onesti, e non tutte le figure problematiche rappresentano un tentativo di imbroglio, come dicevo, ma credo che in realtà la percentuale di frode sia molto più alta. Io posso individuare solo la punta dell’iceberg: infatti non riesco a identificare dati falsificati in tabelle o grafici. Sono quindi convinta che la vera quantità di dati manipolati sia molto più alta».

Hai detto che il sistema publish or perish è il motivo principale per cui i ricercatori, in particolare all’inizio della carriera, si trovano a manipolare le immagini destinate agli articoli. Credi quindi che questo fenomeno sia più diffuso tra i giovani ricercatori?

«Dipende... Ho tre scenari tipici in mente di persone che “fabbricano” immagini. Spesso c’è un capo prepotente che minaccia il giovane ricercatore, il post-doc (cioè una persona con il dottorato di ricerca) o lo studente, pretendendo particolari risultati o imponendo scadenze impossibili. Lo studente, desideroso soltanto di far uscire l’articolo e poi  andarsene, si ritrova così a creare o falsificare i dati. Negli Stati Uniti, in particolare, molti ricercatori non americani sono sotto pressione per mantenere il posto di lavoro, perché se vengono licenziati hanno solo cinque giorni per fare le valigie e tornare nel proprio Paese. E se sei un ricercatore in queste condizioni e magari hai una famiglia, l’unica via d’uscita, anche se fraudolenta, appare quella di fare in modo che i risultati facciano contento il capo prepotente, anche a costo di falsificare le immagini. Anche in Cina la situazione è particolarmente tragica. Gli studenti di medicina, per poter lavorare negli ospedali, devono fare un po’ di ricerca e pubblicare uno o più articoli. Moltissimi di loro, però, non hanno né tempo, né interesse, per la ricerca, quindi letteralmente “comprano” lo "status" di autore di lavori scientifici fasulli, che poi vengono pubblicati. Credo che dietro a ogni immagine falsificata ci sia una storia triste».

Quali sono le conseguenze della pubblicazione e circolazione di articoli con immagini falsificate?

«Tutti gli articoli frutto di imbrogli vanno a minare la fiducia nel mondo della ricerca. Le immagini “fabbricate” diffondono cattiva informazione e, come parte della comunità scientifica, noi ricercatori dobbiamo assicurare che la scienza che facciamo e diffondiamo sia solo scienza di alta qualità. Inoltre, tutti noi basiamo la nostra ricerca sui risultati che altri pubblicano. Falsificare risultati porta fuori strada molti ricercatori, che perdono tempo cercando di riprodurre risultati falsi e che quindi non possono essere riprodotti, con enorme spreco di risorse». 

Cosa succede dopo che hai identificato le immagini manipolate? Contatti le riviste che hanno pubblicato gli articoli?

«Inizialmente sì: dopo lo studio del 2016 ho contattato gli editori di tutti gli 800 articoli contenenti immagini duplicate, segnalando la manipolazione. Ma dopo 6 anni solo un terzo è stato preso in considerazione, mentre per il resto non è successo assolutamente nulla. È stato molto frustrante, e oggi ho cambiato strategia: pubblico le immagini su Pubpeer, così posso allertare i lettori in modo molto più immediato e, a mio avviso, più efficace. Il database è molto attivo oggi: ci sono moltissimi ricercatori che poi commentano i post (circa uno ogni 10 minuti!) e a loro volta pubblicano immagini potenzialmente falsificate». 

Da quando hai lasciato il tuo incarico come ricercatrice, lavori in proprio come consulente per l’integrità scientifica. Riesci a sostenerti economicamente, senza problemi?

«Oltre ai lavori su commissione, la maggior parte delle mie entrate arriva dal mio account Patreon, dove chiunque può fare donazioni. Ma sono anche sempre contenta di dare lezioni alle università sul tema delle frodi scientifiche. Come lavoro devo ammettere che non è molto remunerativo e lo consiglierei solo a chi ha già avviato la propria carriera. Non lo consiglierei, invece, ai giovani ricercatori, anche perché ci si crea sempre molti nemici».

In uno dei tuoi Tweet scrivi: “Adoro lavorare con strumenti come ImageTwinAI o Proofig, ma non c’è nulla di meglio degli occhi umani per identificare duplicazioni nei blot”. Quindi anche tu usi l’Intelligenza Artificiale per analizzare gli articoli? 

«All’inizio, per i 20.000 articoli del 2016, non ho usato nulla a parte i miei occhi, ma oggi uso questi software basati sull’Intelligenza Artificiale. Mi facilitano molto il lavoro, sono veloci e soprattutto possono eseguire il controllo incrociato delle immagini tra moltissimi articoli pubblicati sui database, che io non riuscirei mai a fare. Il problema è che in questi controlli elettronici emergono moltissimi falsi positivi. Inoltre i software non riescono a risolvere i casi più complessi, per cui quasi sempre sono necessari gli occhi e il giudizio umano per valutare quali figure sono davvero frutto di frode scientifica». 

Credi che l’Intelligenza Artificiale verrà utilizzata anche per creare immagini falsificate?

«Sicuramente! Sono abbastanza pessimista nei riguardi dell’Intelligenza Artificiale... Credo che in futuro non saremo più in grado di distinguere le immagini false da quelle reali. È una questione molto importante, che andrà discussa a livello internazionale. Penso che invece di image-checkers, ci sarà bisogno di informatici in grado di sviluppare sistemi per identificare le figure manipolate. Ma credo anche che continueranno a esserci ricercatori che falsificheranno le immagini in modo sciocco e ingenuo, dunque facili da scoprire a occhio nudo».

Quali potrebbero essere i modi per ridurre le frodi nel mondo della ricerca scientifica?

«Dovrebbe esserci molto più impegno da parte degli editori delle riviste scientifiche, che ricevono milioni di dollari per pubblicare gli articoli. Ma anche le istituzioni, le università e i governi dovrebbero mobilitarsi di più, per fare in modo che si riduca la pressione sui ricercatori. Dovremmo anche abbandonare l’attuale sistema di pubblicazione, puntando su un metodo più aperto e trasparente. Abbiamo bisogno di nuovi modelli».

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Profilo X (ex-Twitter) di di Elisabeth Bik: https://twitter.com/MicrobiomDigest?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Eembeddedtimeline%7Ctwterm%5Escreen-name%3Amicrobiomdigest%7Ctwcon%5Es1_c1 

Data ultimo aggiornamento 7 gennaio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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