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Sclerosi multipla: novità sui fattori di rischio, la diagnosi precoce e l’uso degli smartwatch

L’obesità infantile, così come un’infezione da virus di Epstein-Barr, herpesvirus diffusissimo e agente infettivo della mononucleosi, aumentano il rischio di sviluppare, dopo qualche anno, la sclerosi multipla. Lo dimostrano due studi resi noti a pochi giorni di distanza, che mettono in evidenza i legami tra questi due fattori di rischio e l’incidenza della malattia. Negli stessi giorni, poi, è stato pubblicato un lavoro che identifica una possibile firma immunologica precoce, così come un altro che descrive quanto ottenuto utilizzando smartwatch e dispositivi simili, tra i quali anche il telefono cellulare, per monitorare la progressione della sclerosi multipla, con risvolti che potrebbero rivelarsi importanti.

Nel primo studio, che sarà presentato al congresso internazionale sull’obesità che avrà luogo a Venezia nei prossimi giorni, i ricercatori del Karolinska Institutet di Stoccolma, in Svezia, hanno confrontato che cosa era accaduto a bambini e ragazzi obesi e non, rispetto alla malattia. A tale scopo, hanno verificato i dati di oltre 21.000 ragazzi obesi che avevano iniziato a essere trattati all’incirca a 11 anni di età, e di oltre 102.000 coetanei non obesi. Per tutti, erano disponibili i dati relativi ad almeno 5,6 anni. Dopo aver introdotto una serie di fattori correttivi, per esempio relativi alle forme familiari di sclerosi multipla, il risultato è stato preoccupante: tra i ragazzi obesi, l’incidenza della malattia era di 2,3 volte, cioè più che doppia, rispetto ai normopeso.

Nel secondo, invece, pubblicato su Neurology Neuroimmunology & Neuroinflammation, si rafforzano gli indizi a carico della mononucleosi, perché una proteina del virus è molto simile a una proteina della mielina, la guaina di rivestimento delle fibre nervose contro la quale è diretta la reazione autoimmune. Ma si descrive anche un aspetto finora non considerato, visto in un’ottantina di pazienti, che potrebbe essere importante tenere presente. I neurologi del Trinity College di Dublino hanno infatti dimostrato che un esame del sangue che identifica gli anticorpi anti virus di Epstein-Barr aiuta a capire come poroicedere. Se infatti la loro concentrazione è elevata, è opportuno valutare se somministrare o meno le cure più diffuse oggi, che prendono di mira le cellule B del sistema immunitario per ababssare l’autoimmunità, perché quelle cellule sono anche le responsabili della lotta al virus. Depauperarle eccessivamente potrebbe facilitare l’evoluzione della risposta al virus in una risposta autoimmune.

Nel terzo, uscito su Nature Medicine, l’analisi dei dati di dieci milioni di persone ha mostrato che, anni prima della diagnosi, l’aspetto complessivo degli anticorpi ha caratteristiche dle tutto specifiche, con elevate concentrazioni di anticorpi anti neurofilamenti serici leggeri (sNFl). Si apre quindi la via di un’autentica diagnosi precoce, se i dati dovessero essere confermati, soprattutto per i soggetti a rischio.

Infine, i ricercatori del politecnico ETH di Zurigo hanno pubblicato, su npj Digital Medicine, quanto osservato analizzando i dati dei device indossati per due settimane da una cinquantina di malati e 24 controlli. Sono emerse notevoli differenze significative, per esempio nei passi quotidiani, nell’uso del cellulare, nell’affaticamento e così via. Secondo loro, l’enorme massa di dati che ogni dispositivo produce quotidianamente, dovrebbe essere utilizzata per definire l’andamento della malattia nel singolo paziente, e stabilire così un percorso di cura personalizzato e costantemente adattato alle esigenze del singolo.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 22 aprile 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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