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Per preservare l’equilibrio degli anziani,
il thai chi è meglio degli esercizi classici

Il thai chi aiuta gli anziani a mantenere l’equilibrio: questo è noto da tempo. Ma quanto sono solidi i dati scientifici che supportano questo beneficio? Molto, stando alla metanalisi pubblicata da ricercatori di diverse università statunitensi, israeliane e cinesi su Frontiers in Public Heath, dalla quale emerge un aspetto ulteriore: il thai chi è superiore ad altri tipi di esercizi, più convenzionali, che hanno la stessa finalità. 

Gli autori hanno preso in esame 12 studi che hanno coinvolto poco meno di 3.000 anziani, e hanno concluso che, rispetto alla ginnastica classica usata come controllo, in media:

  • il thai chi permette di percorrere 15 metri impiegando 1,84 secondi in meno;
  • il thai chi permette di mantenere la posizione su una gamba sola per sei secondi in più quando gli occhi sono aperti, e 1,65 secondi in più quando sono chiusi;
  • il thai chi fa migliorare le prestazioni cronometrate, relative sia allo stare seduti che allo stare in piedi e al camminare;
  • il thai chi assicura un miglioramento in alcuni test funzionali associati allo svolgimento delle normali attività quotidiane, con differenze che suggeriscono un notevole miglioramento.

L’indagine ha poi permesso di individuare i protocolli migliori: basta un corso relativamente breve, di 20 settimane o meno, per un totale di 24 ore di lezioni, meglio se nello stile Yang, uno dei principali di questa antica arte marziale cinese.

Pertanto, secondo gli autori, i medici dovrebbero valutare sempre il thai chi quando devono integrare una riabilitazione, o anche solo diminuire il rischio di perdita di equilibrio e stabilità, fenomeno molto comune dopo una certa età, ma capace di compromettere gravemente la qualità di vita. E tutte le persone, dopo una certa età, potrebbero decidere di frequentare un corso, che avrebbe effetti positivi anche sul tono muscolare, sull’umore e sulla socialità.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 9 aprile 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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