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Gli PFAS sono rilasciati anche dai cinturini
degli smartwatch e dai fitness tracker

I perfluoroalchili o PFAS sono un insieme di oltre 14.000 tra composti e loro metaboliti utilizzati come plastificanti, presenti in migliaia di oggetti e prodotti. La loro caratteristica, dal punto di vista chimico, è quella di contenere fluoro legato al carbonio in modo molto forte, al punto che, in alcuni di essi, spezzare tale legame è virtualmente impossibile. Per questo vengono anche chiamati “contaminanti perenni” em per lo stesso motivo, essendo in uso da decenni, vengono trovati ovunque li si cerchi, sul pianeta Terra, e virtualmente in tutti gli organismi viventi, uomo compreso. La loro presenza, tuttavia, non è innocua. Oltre a danneggiare gli ecosistemi, è ormai dimostrato che interferiscono con lo sviluppo del sistema nervoso e con quello sessuale dei bambini, anticipando anche il parto e agendo sulla crescita, influenzano il funzionamento del sistema immunitario, danneggiano il metabolismo, modificano la pressione sanguigna delle donne in gravidanza e fanno aumentare i rischi di sviluppare alcuni tipi di tumore come quello del testicolo. Gli studi però sono solo all’inizio, perché gli PFAS sono migliaia e perché oltre alla loro azione diretta bisognerebbe studiare ciò che succede quando si accumulano nell’organismo, e quando ne sono presenti diversi contemporaneamente. In ogni caso, molti esperti ne chiedono la totale messa al bando, e consigliano di cercare di evitare di assumerne, per quanto possibile.

In questo contesto giunge ora uno studio, pubblicato su Environmental Science & Technology Letters, di un gruppo di ricercatori che da anni indaga sulla presenza degli PFAS in oggetti di uso comune come gli incarti del cibo da asporto, i cosmetici, i prodotti per l’igiene intima femminile come gli assorbenti, i colliri, il filo interdentale, i contenitori in plastica, l’erba artificiale, l’equipaggiamento dei pompieri e così via: quello dell’Università di Notre Dame, in Indiana (USA). La nuova indagine è concentrata su altri oggetti di uso moto comune: i cinturini degli smartwatch e i fitness tracker che, secondo un’indagine del 2019, sono presenti ai polsi di un americano su cinque, e che sono tenuti al polso in media 11 ore al giorno, da chi ne fa uso.

Gli autori hanno esaminato 22 dispositivi tra i più venduti, e scoperto che 15 presentavano elevate concentrazioni di fluoro, segno della più che probabile presenza di PFAS. Tra questi, tutti quelli più costosi, che costavano da più di 30 dollari, e che avevano le concnetrazioni più elevate, e poi 12 dei 14 di quelli dal prezzo medio, tra i 15 e i 30 dollari, mentre i più economici avevano solo tracce di fluoro. Inoltre, nove contenevano elevate concentrazioni di uno tra i più comuni PFAS, l’acido perfluoroexenoico o PFHxA. In alcuni campioni, il livello era di mille parti per miliardo: di gran lunga la concentrazione più elevata rispetto a tutti gli altri prodotti commerciali studiati dallo stesso gruppo. Nei cinturini degli smartwatch e nei dispositivi per il controllo dei parametri, gli PFAS sono impiegati per dare origine a materiali chiamati fluoroelastomeri, di fatto gomme arricchite con il fluoro, per garantire flessibilità e resistenza alle sostanze oleose, all’acqua e ai cosmetici. Tuttavia, la necessità di tenerli a contatto con la cute li rende particolarmente pericolosi, perché gli PFAS entrano nell’organismo anche così, oltreché per inalazione o ingestione.

Gli autori chiedono quindi ulteriori e approfonditi studi e, in attesa di saperne di più, consigliano particolari cautele nell’impiego: sarebbe meglio non indossarli affatto, e comunque non tenwerli mai tutto il giorno.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 30 dicembre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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