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SOS insegnanti: sono molto più stressati
e depressi rispetto a chi fa un altro lavoro

Gli insegnanti australiani sono in crisi, ed è urgente porre in essere interventi che mitighino il loro burn out, cioè l’esaurimento psicofisico di cui le vittime principali sono proprio gli insegnanti e il personale sanitario. Lo certifica uno dei più grandi studi mai effettuati nel paese, che individua elementi presenti nella classe docente di molti altri paesi, alle prede con difficoltà analoghe. Nell’indagine, condotta dai ricercatori dell’università di Sidney e pubblicata su Social Psychology of Education, sono stati intervistati 5.000 docenti delle scuole medie e superiori tra il 2022 e il 2024, e ciò che ne è emerso è un quadro allarmante. Il 90% dei partecipanti ha infatti affermato di soffrire di uno stress molto grave, e due terzi di avere i sintomi di una depressione o di una sindrome ansiosa da moderate a gravi: un tasso che è circa doppio rispetto alla media nazionale. Nello specifico, i tassi di depressione sono risultati essere tripli, e quelli di stress grave quadrupli rispetto al resto dei cittadini australiani.

Le cause non evidenti: il 68,8% denuncia di sentirsi sopraffatto dal carico di lavoro, esacerbato anche dalla cronica carenza di personale, che comprende troppi compiti non legati alla didattica, amministrativi, burocratici e di raccolta dati, che sottraggono tempo alla programmazione delle lezioni e al rapporto con gli studenti. Il tutto, poi, peggiora via via che sci si addentra nelle zone rurali e meno popolose. Non a caso uno su tre sta pensando di lasciare l’insegnamento prima della pensione.

Come intervenire? Secondo gli autori su più fronti: per esempio, alleggerendo il carico di compiti non didattici, migliorando i trattamenti economici, predisponendo servizi (anche digitali) di supporto psicologico, e monitorando il benessere psicofisico degli insegnanti. Anche perché, se un insegnante è troppo stressato e rischia il burn out, i primi a pagare le conseguenze sono gli studenti.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 15 settembre 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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