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Figli tutti dello stesso sesso? C’entrano l’età della madre e due geni, non soltanto il caso

In alcune famiglie con più figli c’è un’ampia prevalenza di un solo genere. E’ frutto del caso, se nascono solo maschi o solo femmine? Non proprio. Quantomeno, esistono due tipi di fattori che possono indirizzare il sesso del nascituro: l’età della madre, e due geni specifici. Lo hanno scoperto i ricercatori di Harvard, che hanno pubblicato quanto emerso dai loro approfondimenti in uno studio uscito su Science Advances.

Per vederci più chiaro, hanno analizzato i dati di oltre 57.000 donne che avevano partorito due o più figli, e hanno innanzitutto confermato che chi aveva tre figli dello stesso sesso,  aveva il 61% di probabilità di averne un quarto sempre dello stesso sesso se maschio, e il 58% se femmina. La tendenza va dunque al di là del caso.

Poi hanno individuato un primo elemento: l’età della madre. Le madri che avevano 28 anni avevano il 10% di probabilità in più di avere figli tutti dello stesso sesso, rispetto a chi, al momento del parto, ne aveva 23. L’associazione non stupisce visto che, con l’età, cambiano alcuni parametri legati al concepimento come il pH dei fluidi vaginali e follicolari, condizioni che possono agevolare i cromosomi X, oppure quelli Y.

Non ci sono dati specifici sull’età del padre, anche se potrebbe a sua volta avere un ruolo, visto che di solito se una madre ha più anni, anche il padre ne ha di più. 

Spingendosi oltre, i ricercatori hanno poi verificato i geni di 7.500 donne dello studio e hanno scoperto due varianti geniche che sembrano associate alla prevalenza di un sesso: la NSUN6 per le femmine, e la TSHZ1 per i maschi.

L’influenza di entrambi i fattori rimane anche considerando alcuni comportamenti come il fatto che una coppia può continuare a fare figli quando, avendoli tutti dello stesso sesso, spera che il successivo sia di sesso diverso.

Le famiglie con figli tutti maschi o tutti femmine non sono quindi frutto della casualità, ma di specifici fattori che hanno influenza sul concepimento.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 29 luglio 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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