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Appello degli ambientalisti: Stop ai mercati con animali vivi

di Agnese Codignola

«Non so che cos’altro deve succedere affinché tutti capiscano» ha dichiarato alla rete televisiva americana Fox Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases e consigliere scientifico di Donald Trump per l’emergenza coronavirus. Si riferiva al suo appoggio all’iniziativa lanciata in otto Paesi da Animal Equality, l’organizzazione internazionale che si batte contro la crudeltà sugli animali, affinché l’ONU dichiari il bando totale dei cosiddetti wet market. La raccolta di firme, iniziata pochi giorni fa, ne ha già messe insieme 200.000, metà delle quali in Italia, e sta ottenendo anche altri importanti sostegni, come quello di Elizabeth Maruma Mrema, segretaria esecutiva ad interim della Convenzione delle Nazioni Unite sulla biodiversità, che ha affermato, sul quotidiano britannico Guardian: «Il messaggio che stiamo ricevendo è che se non ci prendiamo cura della natura, essa si prenderà cura di noi. Sarebbe bene vietare i mercati di animali vivi».

I wet market ("mercati umidi", in inglese) sono presenti in molti Paesi asiatici tra i quali la Cina, il Vietnam, la Thailandia, l’India, e in alcuni Paesi africani, e sono caratterizzati dal fatto che gli animali vengono uccisi e macellati di fronte al cliente. Un atto considerato di alto valore, e garanzia di freschezza della carne offerta. Ma che purtroppo genera una quantità di liquidi e tessuti biologici che ristagnano sui pavimenti e non solo, da cui il nome. Ed è proprio da questi fluidi che sono nate, negli ultimi decenni, epidemie e pandemie come quelle della SARS e della MERS, di Nipah, di Ebola, dell’influenza suina. Perché in questi mercati vengono venduti e macellati animali allevati insieme a una quantità incredibile di animali selvatici che, sempre più spesso, ospitano virus che riescono a fare il salto di specie, il temuto spillover, infettando tanto gli altri animali quanto l’uomo. 

Anche se non è stato ancora dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio, sembra sia andata così anche per il Covid-19: i pangolini, specie a rischio estinzione ma molto amata in Cina come alimento e come fonte di ingredienti per la medicina tradizionale, sarebbero stati infettati nel loro ambiente dai pipistrelli, e avrebbero poi trasmesso l’infezione all’uomo una volta portati nei wet market.
Questi casi sono sempre più frequenti, a causa della crescente antropizzazione e della conseguente restrizione degli habitat delle specie selvatiche, che entrano in contatto con altre specie, domestiche e non, spingendosi sempre più vicino agli agglomerati urbani, in cerca di cibo. È stato così per la SARS, passata da un pipistrello a un piccolo mammifero e da questo all’uomo. 

Secondo diversi studi e rapporti - come ricordano anche i Centers for Diseases Control (CDC) - dal contatto con gli animali sono nate 6 su 10 tra le malattie infettive che colpiscono l’uomo, e 3 su 4 delle nuove o emergenti malattie. Per questo si chiede che i governi, su indicazione dell’ONU, chiudano i wet market, gestendo la situazione con attenzione perché questo tipo di commercio costituisce l’unico reddito per centinaia di migliaia di persone che, in assenza di un lavoro alternativo, potrebbero dare vita a un mercato illegale ancora più pericoloso perché del tutto fuori controllo.

La Cina di recente ha vietato il commercio di specie selvatiche a scopo alimentare, e ha chiuso temporaneamente i wet market. L’appello è affinché il divieto sia esteso a tutti gli altri usi – a cominciare da quello farmaceutico, nei Paesi che hanno medicine tradizionali che prevedono parti di animali selvatici - e la chiusura sia definitiva, in Cina come in tutto il resto del mondo.

Data ultimo aggiornamento 8 aprile 2020
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: • È il pangolino l’animale che ha “incubato” il Covid-19?


Tags: coronavirus, Covid-19



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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