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Troppa chirurgia plastica non necessaria,
e la colpa è di un uso eccessivo dei social

Sette milioni di australiani sperano di sottoporsi a un intervento di chirurgia estetica nei prossimi dieci anni, e la tendenza è all’aumento costante. Tra il 2010 e il 2018, del resto, il numero di procedure con finalità estetiche è passato da 177.000 a quasi 250.000, ed è quindi quasi raddoppiato. La responsabilità, in gran parte, è dell’uso pervasivo dei social media, che spinge le persone, soprattutto se giovani e donne, a sentirsi inadeguate rispetto a modelli irrealistici, e a cercare di modificare il proprio aspetto.

Per indagare meglio il fenomeno, un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Australia del Sud ha svolto una serie di test su un campione di 238 ragazze di età compresa tra i 18 e i 29 anni, e ha subito scoperto che il 16% si era già sottoposta a un intervento, e che più della metà (il 54%) desiderava farlo in futuro. Solo una su tre (il 31%) non ne aveva alcuna intenzione. Come riferito sul Journal of Technology in Behavioural Science, i social media più utilizzati erano Facebook, consultato regolarmente dal 91% del campione, e Instagram (90%), seguiti a poca distanza da Messenger di Facebook (85%), ma i preferiti sono risultati essere Instagram (34%) e TikTok (28%). Volendo capire meglio perché i social media abbiano questo effetto, gli autori hanno sottoposto le partecipanti a una serie di test, e hanno scoperto che ciò viene alterato profondamente è quella che chiamano auto-compassione, cioè l’atteggiamento che si ha verso le proprie imperfezioni. Se è esageratamente negativo, infatti, si ripercuote sull’immagine che si ha del proprio corpo, e spinge le persone a cercare di modificarlo, per assomigliare di più a modelli lontani dalla realtà. Il consiglio non può che essere quello di limitare la consultazione dei social media, cercando di mantenere sempre un rapporto corretto con la realtà e avendo la giusta autocompassione, cioè un atteggiamento neutro, di accettazione, delle proprie specificità.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 27 settembre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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