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Nuovo anticorpo monoclonale
contro il lupus eritematoso

La terapia farmacologica del lupus eritematoso sistemico (LES) potrebbe ampliarsi e prevedere un’arma efficace in più, se i dati di medio termine presentati all’ultimo congresso dell’American College of Rheumatology dall’azienda Medimmune, affiliata ad AstraZeneca, saranno confermati. L’anticorpo terapeutico monoclonale anifrolumab, infatti, sembra più efficace degli altri farmaci studiati negli ultimi anni, compreso il monoclonale belimumab, introdotto nel 2011.

Nell’ambito dello studio (una sperimentazione di fase II, cioè su un numero ristretto di pazienti, per verificare tossicità e dosi), 300 malati sono stati trattati con diverse dosi di anifrolumab, per un massimo di 48 settimane, e il risultato è stato che dopo sei mesi il 34,4% di loro aveva risposto (cioè la malattia aveva mostrato segni di rallentamento, misurati con tre scale riconosciute a livello internazionale). Tale percentuale è salita a oltre il 50% dopo un anno di trattamento.Gli effetti collaterali più comuni sono state infezioni da herpes zoster e da virus influenzali, trattabili con antivirali.

L’anifrolumab è in grado di riconoscere e bloccare i recettori per alcuni tipi di interferone di tipo I (chiamati IFN-α, IFN-β and IFN-ω), presenti sulle cellule. L’interferone viene prodotto dalle stesse cellule, per difendersi dai virus e da altri agenti infettivi, e ha una funzione importante e positiva, di per sé, ma in alcuni casi può diventare protagonista, per errore, di patologie autoimmuni, come il lupus eritematoso sistemico, appunto, danneggiando diversi tipi di organi (in particolare, cuore, pelle, polmoni, fegato, reni, e altri).

La fase III dello studio (su un numero più ampio di pazienti) è già iniziata e dovrà confermare l’efficacia di questo farmaco, superando le difficoltà che una malattia complessa come il lupus ha sempre "innalzato" fino a oggi.

(19 novembre 2015)

A.C.
Data ultimo aggiornamento 18 gennaio 2019
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: anifrolumab, AstraZeneca, herpes zoster, interferoni, lupus eritematoso sistemico



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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