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Consumare regolarmente carni rosse e lavorate favorisce lo sviluppo del diabete 2

Non sembrano più esserci dubbi, sul fatto che mangiare tutti i giorni carni lavorate o carni rosse costituisca un rischio per la salute. Dopo il legame con alcune forme di tumore, un nuovo, imponente studio associa infatti questo tipo di consuetudine a un aumento del rischio di sviluppare un diabete di tipo 2 non irrilevante. In esso i ricercatori dell’università di Cambridge, in Gran Bretagna, hanno analizzato i risultati di 31 studi realizzati in 20 paesi, che hanno coinvolto poco meno di due milioni di persone seguite per almeno dieci anni, e tra le quali si erano verificati circa 100.000 casi di diabete 2, e sono giunti a conclusioni preoccupanti. Come riportato su Lancet Diabetes & Endocrinology, infatti, la media del consumo di carni era compresa tra 0 e 110 grammi (g) per quelle rosse non processate, tra 0 e 49 g per quelle processate (cioè lavorate, per esempio i salumi) e tra 0 e 72 per il pollame, e il rischio di diabete aumentava significativamente per ogni decina di grammo in più consumata al giorno per le carni rosse e per quelle lavorate, mentre cresceva solo di poco per le carni bianche come il pollo. Nello specifico, il consumo abituale di 50 grammi di salumi (due fettine di prosciutto) corrispondeva a un +15% di rischio di diabete 2, e quello di 100 g di carni rosse (una piccola bistecca o un hamburger) a uno del 10%, mentre per 100 g di carni bianche al giorno  l’incremento era dell’8%, anche se quest’ultimo valore è probabilmente sovrastimato per alcuni fattori statistici (hanno spiegato gli autori). Lo stesso tipo di andamento si vede in tutto il mondo, e il rischio cresce in misura proporzioale al consumo.

La conclusione non può che essere quindi un invito a limitare fortemente il consumo di carni rosse e lavorate, sostituendo almeno alcune porzioni con proteine vegetali oppure, se non si vuole rinunciare alla carne e ai salumi, con carni e salumi ottenuti da pollami e carni bianche in generale.

 

A.B.
Data ultimo aggiornamento 28 agosto 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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