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Arriva la conferma: basta un’unica dose
di vaccino anti-HPV per “salvare” l’utero

(Foto dell’agenzia iStock)

di Agnese Codignola

In un momento drammatico per la ricerca mondiale, nel quale l’amministrazione Trump ha deciso di imporre tagli draconiani a tutti gli istituti pubblici, riservando quello più catastrofico, da 506 milioni di dollari, al National Institute for Allergy and Infectious Diseases (che coordina gli studi sulle malattie infettive), c’è una luce. I risultati ottenuti contro il tumore della cervice uterina grazie al vaccino anti-papilloma virus somministrato in una dose sola spiegano, infatti, meglio di qualunque discorso perché la direzione imboccata dal governo statunitense sia pericolosa e controproducente, e del tutto immotivata dal punto di vista scientifico.
Uno studio clinico condotto dai ricercatori di un altro ente pubblico fondamentale, il National Cancer Institute o NCI, chiamato ESCUDDO Trial sono stati infatti definiti semplicemente fenomenali, al congresso annuale dell’American Association for Cancer Research, perché hanno confermato che basta un’unica dose di vaccino per ottenere l’immunizzazione e, di conseguenza, la prevenzione pressoché totale del rischio di tumore associato all’infezione virale. Fatto che potrebbe cambiare tutto.

papillomavirus umani o HPV sono un’ampia famiglia di decine di virus, che da molti anni sono stati associati allo sviluppo di tumori degli organi genitali interni femminili (in particolare, del carcinoma del collo dell’utero) e di quelli esterni femminili e maschili, nonché a tumori del distretto testa-collo. Per questo, nel 2006, quando è arrivata la prima vaccinazione efficace contro l’HPV, se ne sono subito intuite le potenzialità, e molti Paesi hanno iniziato a organizzare campagne vaccinali che proteggessero le ragazze più giovani. Gli schemi prevedevano - e tuttora prevedono - l’immunizzazione attorno ai 12 anni, da somministrare prima dell’inizio dell’attività sessuale. 

Nel tempo, oltre cento Paesi nel mondo hanno seguito questa strada, confortati anche dai dati delle prime nazioni che lo avevano fatto, come l’Australia, che hanno visto molto presto un calo drastico dei casi di tumore.

Parallelamente, i vaccini sono diventati sempre più efficaci, includendo sempre più ceppi: oggi alcuni ne contengono tre o quattro, da somministrare in due tempi, anche ai ragazzi, ma uno di quelli utilizzati in ESCUDDO ne contiene nove. 

La necessità di un richiamo, tuttavia, ha frenato la diffusione del vaccino sia nei Paesi più sviluppati sia, soprattutto, in quelli più poveri che ne avrebbero maggiormente bisogno, perché ancora caratterizzati da un’elevata circolazione degli HPV. Per questo i dati appena resi noti dalla comunità scientifica hanno suscitato tanto entusiasmo: la possibilità di vaccinare una sola volta potrebbe cambiare radicalmente la situazione e consentire di avere coperture vaccinali sufficienti a sconfiggere definitivamente gli HPV.

Nello studio citato, sono state somministrate una o due dosi a un campione di oltre 20.300 ragazze del Costa Rica di età compresa tra i 12 e i 16 anni; le ragazze sono state poi attentamente seguite per quattro anni e mezzo. In tutte le partecipanti l’efficacia del vaccino, e cioè la capacità di suscitare una reazione immunologica specifica e di garantire la protezione dall’infezione, è stata elevatissima, del 97%, senza differenze significative tra i due schemi. Il che significa che le campagne vaccinali – argomento cui lo stesso National Cancer Institute americano aveva dedicato grandi sforzi negli anni scorsi, per capire come migliorarle – potrebbero subire una drastica accelerazione. E questo potrebbe avvenire non solo nei Paesi più poveri, nei quali la copertura vaccinale completa oggi è attorno al 24%, ma anche in quelli più ricchi, dove la copertura non è ancora ottimale. Per esempio, negli Stati Uniti, nel 2019 solo il 54,2% degli adolescenti che avrebbero dovuto farlo aveva ricevuto le due dosi previste.

Dall’introduzione della vaccinazione a oggi, la diagnosi di lesioni pretumorali (che di solito avviene tramite Pap test) nei Paesi più sviluppati come gli stessi Stati Uniti è crollata, diminuendo dell’80%, anche se lì solo il 77% delle ragazze che teoricamente avrebbe dovuto vaccinarsi ha ricevuto almeno una dose. Questa è una delle conseguenze positive delle vaccinazioni di massa, contro cui si è però dichiarato Robert Kennedy jr, ministro per la salute no vax del governo Trump, che proprio sul vaccino anti HPV ha fatto dichiarazioni prive di qualunque fondamento scientifico.
In realtà, come dimostrano decenni di vaccinazioni su miliardi di persone nelle più diverse situazioni, quando si attua una campagna con copertura sufficiente, la circolazione del virus diminuisce fino a scomparire, e in questo modo anche chi non si è vaccinato ne beneficia. E per l’HPV ci sono casi clamorosi: in Scozia, tra le ragazze nate tra il 1988 e il 1996, nel 2024 non si è registrato neppure un singolo caso di tumore associato a un HPV. Un risultato inimmaginabile fino a prima dell’introduzione del vaccino. Anche l’Australia pensa di essere vicina all’eradicazione – cioè alla scomparsa totale – delle infezioni e quindi dei tumori HPV-associati, grazie alla combinazione di vaccini e controlli.

Ma come si è arrivati a dimostrare che probabilmente basta una sola dose?

La storia ha origini abbastanza lontane, perché è nel 2007 che uno dei principali ricercatori del settore, Rolando Herrero, coinvolto nella sperimentazione del Cervarix, il vaccino usato allora (oggi il principale è il Gardasil), sempre in Costa Rica, decide che il 20% delle partecipanti avrà uno schema vaccinale diverso dalle due somministrazioni previste, soprattutto per motivi medici (per esempio perché nel frattempo è sopraggiunta una gravidanza). Queste ragazze riceveranno una sola dose. I risultati di quella prima sperimentazione lasciano intravvedere un’equivalenza di efficacia, anche se vanno contro la legge generale dei vaccini come il Cevarix, basati su proteine del virus, che di solito richiedono un primo vaccino e poi un richiamo, per essere pienamente efficaci.

Quell’equivalenza di effetti non passa inosservata e alcuni iniziano ad approfondire. Negli anni successivi giungono altri dati, per esempio da uno studio condotto in India, che confermano la stessa efficacia per l’unica somministrazione. E nel 2022 l’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma ufficialmente che basta una dose. Nel 2023 la Gran Bretagna decide di passare a questo schema. E ora i dati di ESCUDDO potrebbero convincere molti altri Paesi a fare lo stesso.

Non tutti i ricercatori, però, sono totalmente convinti, come spiega un articolo pubblicato sul sito Statnews. Secondo alcuni, infatti, mancano ancora dati sulla durata dell’immunizzazione attraverso una sola iniezione, così come sui diversi ceppi. I dati “fenomenali” sono stati infatti ottenuti con uno dei vaccini, quello con nove ceppi, e quindi teoriocamente con la massima immunizzazione possibile oggi, ma con gli altri prodotti in commercio si arriva allo stesso risultato? Ancora: oltre ai tumori dell’apparato genitale, che cosa accade a quelli del cavo orale, anch’essi strettamente associati all’infezione da HPV? La loro incidenza diminuisce come accade con le due dosi?

Domande cui sarebbe probabilmente meglio dare una risposta certa, prima di estendere ai Paesi più ricchi la raccomandazione. Per quelli più poveri, invece, secondo la maggior parte degli esperti sarebbe opportuno procedere subito, dal momento che i tumori della cervice uterina mietono ancora 350.000 vittime all’anno, per la maggior parte nelle zone con strutture sanitarie carenti, povertà, coperture vaccinali scarse. Anche perché, come ha raccontato la rivista Science in un articolo dai toni drammatici, con i tagli di Trump e la perdita di oltre 2.200 ricercatori che avevano contratti a termine con i National Institutes of Health, 400 dei quali con il Vaccine Research Center, il destino della ricerca sui vaccini è tutt’altro che roseo, e nessuno oggi può prevedere quali saranno le conseguenze a medio e lungo termine della catastrofe in atto.

Data ultimo aggiornamento 24 maggio 2025
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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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