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Al contrario di quello che si pensava, il blu
è un colore europeo da almeno 10.000 anni

Le popolazioni che vivevano in Europa alla fine del Neolitico (tra il 14.000 e l’11.700 a.C., in questo caso), contrariamente a quanto ritenuto finora, conoscevano i pigmenti di colore blu, e li utilizzavano. 

Si è sempre pensato che, per motivi poco chiari, quei primi uomini utilizzassero solo i toni del nero, dell’ocra e del rosso. Probabilmente non avevano nient’altro a disposizione, si ipotizzava, anche se la tesi non reggeva del tutto, di fronte alla presenza, nel suolo europeo, di molti minerali che avrebbero potuto dare colorazioni in varie tonalità di blu o di verde. Ma non c’era alcuna traccia di pigmenti di quel colore. Ora però uno studio pubblicato su Antiquity riscrive la storia, appunto, perché documenta, per la prima volta, la presenza di pigmenti blu utilizzati forse per decorazioni corporali. In esso infatti un gruppo internazionale di archeologi di diverse università europee descrive quanto rinvenuto nel sito di Mühlheim-Dietesheim, in Germania, in una pietra scavata volontariamente, da uomini del Paleolitico. I frammenti ritrovati nell’incavo della pietra, analizzati con diverse tecniche, sono di azzurite, un minerale che contiene rame, da cui prende il colore blu-azzurro, e non sono lì per caso. Forse quella pietra serviva per produrre polvere colorata a partire da pezzi di azzurrite, o forse era usata come recipiente per paste colorate da spalmare sul corpo o altro. In ogni caso, il suo ritrovamento suggerisce che la palette cromatica a disposizione dei Neanderthal e dei Sapiens fosse molto più ampia del previsto, e che ogni tonalità avesse utilizzi specifici. Probabilmente, i blu e i verdi non erano impiegati per decorare le pareti come i rossi e i neri, ma i corpi e altro di cui non è rimasta traccia.

Il blu è quindi davvero un colore europeo. Da almeno 10.000 anni.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 3 ottobre 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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