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Per il benessere degli adolescenti anche Miyazaki e Zelda possono essere di aiuto

Certi giochi e certi film di animazione sono più che intrattenimento, per i ragazzi: possono dare un contributo significativo al loro benessere psicologico, al senso di socialità e a quello di pacificazione, alla convinzione di avere uno scopo nella vita, alla curiosità e ad altri stati d’animo positivi e particolarmente importanti in questa epoca, nella quale la solitudine e l’ansia sono molto presenti tra le generazioni più giovani. Lo ha dimostrato uno studio condotto dai ricercatori dell’Imperial College di Londra su oltre 500 ragazzi appena maggiorenni, invitati a vedere o un film dello studio Ghibli (fondato da Hayao Miyazaki) quali Il mio vicino Totoro o Kiki – consegne a domicilio, oppure a giocare al gioco altrettanto noto The Legend of Zelda: Breath of the Wild, o a non fare nessuna delle due cose, e poi a rispondere a un questionario sul proprio stato d’animo. Come riportato su JMIR Serious Games, l’analisi di oltre 5.000 tra film visti e giochi giocati (in media circa dieci a testa) in entrambi i casi i benefici sono stati ben presenti e misurabili, e hanno fatto emergere una differenza notevole rispetto ai ragazzi del gruppo di controllo, che non avevano visto i film né giocato. I punteggi più alti associati al benessere e alla felicità sono stati ottenuti dai film di Miyazaki, nei quali è presente la nostalgia, oltre all’avventura, ma con entrambe le tipologie si sono comunque osservati i vantaggi associati alla calma, al senso di esplorazione, alla padronanza e al significato delle situazioni.

Non bisogna quindi demonizzare in modo generalizzato i giochi digitali o i film di animazione, specie se a elevato contenuto artistico come nel caso di Miyazaki, al contrario. Alcuni di essi possono costituire un valido supporto allo sviluppo emotivo e psicologico e in generale al benessere, ed essere più accettati rispetto ad altre strategie terapeutiche: basta scegliere accuratamente, e poi abbandonarsi alle sensazioni positive.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 5 settembre 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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