MEDICINA DELLO SPORT
I giocatori di rugby e i calciatori hanno
un rischio molto più elevato di demenza
Non ci sono più dubbi sul fatto che gli sport di contatto, specie quelli nei quali viene coinvolta la testa, siano associati a un significativo aumento del rischio di sviluppare una demenza in età avanzata. E che sia così lo confermano, ancora una volta, un grande studio sui giocatori professionisti di rugby, pubblicato su Sports Medicine e condotto dai ricercatori dell’Università di Aukland, in Nuova Zelanda, e altri due, uno uscito su Neurology e uno su JAMA che prendono in considerazione il calcio. Gli autori hanno individuato i dati dei maschi nati tra il 1920 e il 1984 che hanno giocato a livello agonistico tra il 1950 e il 2000, più di 12.800 in tutto, e hanno poi verificato l’incidenza di una demenza, confrontandola con quella osservata in poco meno di 2,4 milioni di maschi simili nati nello stesso periodo, che però non avevano giocato a rugby. Il risultato ha mostrato un aumento del 22% del rischio di avere una demenza dopo i 70 anni. In altre parole, se nella popolazione generale il rischio di avere una diagnosi o morire per una demenza (tra il 1988 e il 2023) riguardava 52 persone su mille, tra i giocatori il tasso saliva a 65 su cento. Ogni mille persone, tra i giocatori c’erano 13 casi in più, o quattro casi all’anno.
Il rischio, poi, era direttamente collegato con alcune caratteristiche del giocatore: chi stava più dietro, e subiva più colpi alla testa, aveva una probabilità di elevata di ammalarsi, e lo stesso accadeva per gli anni di attività agonistica: più numerosi erano stati, peggiore era il quadro.
Nello studio di Neurology sono stati attentamente esaminati 352 giocatori professionisti di rugby e 77 controlli non giocatori e gli esami hanno mostrato che i primi, pur essendo giovano (età media 25 anni) avevano numerose microalterazioni soprattutto nelle zone più esterne del cervello, in numero dipendente dalal qauntità di traumi ricevuti.
Nel secondo, uscito su JAMA Network Open, sono stati analizzati gli stessi atelti, con ulteriori approfindimenti sui danni al cervello.
Anche se non si può dimostrare l’esistenza di un rapporto di causa ed effetto, ma solo la coesistenza di due fenomeni, gli autori di tutti gli studi chiedono che si tenga più presente il pericolo associato ai traumi cranici, cercando di limitarne il più possibile il numero.
In realtà, ormai non sono pochi gli esperti che chiedono apertamente di vietare questi sport, o comunque di modificarne le regole anche in modo radicale, per escludere del tutto la possibilità di traumi cranici.
A.B.
Data ultimo aggiornamento 5 novembre 2025
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