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I tatuaggi di una mummia siberiana confermano che la body art ha 2.500 anni

La body art, ossia l’utilizzo dei tatuaggi per veicolare messaggi culturali e antropologici, non è un’invenzione moderna. Il popolo nomade dei Pazyryk, vissuto per migliaia di anni nelle steppe tra l’Europa e l’Asia, tra i monti Altai (nell’attuale Russia), la praticava già 2.500 anni fa. E ora, grazie a uno studio condotto da Gino Caspari, un archeologo e ricercatore dell’università di Berna, in Svizzera, e del Max Plank Institute di Gottinga, in Germania, torna a farsi ammirare e comprendere nella sua straordinaria complessità e bellezza. Come illustrato su Antiquity, Caspari ha lavorato su una delle mummie trovate nel ghiaccio nel XIX secolo, chiamate appunto mummie di ghiaccio, in una sepoltura, e conservata al museo dell’Hermitage di San Pietroburgo, in Russia. Finora i tatuaggi della donna, morta a circa 50 anni, non erano visibili, ma grazie alla fotografia digitale nel vicino infrarosso è stato possibile farli emergere in modo del tutto non invasivo, ricostruirli in una copia in 3D della mummia e, grazie anche all’aiuto di un esperto di tatuaggi contemporanei, interpretarli. Sono così emersi intricati disegni di leopardi, un cervo, un gallo e una creatura mitologica, una sorta di grifone con il corpo di leone e le ali dell’aquila. Sull’avambraccio destro, la donna aveva dei leopardi attorno a una testa di cervo, sul braccio sinistro appunto il grifone, che sembrava combattere con un cervo. Secondo Caspari, sono tipici di quella cultura corpi posteriori contorti e scene di lotte di animali selvatici. La donna, però, aveva anche un gallo tatuato sul pollice, una particolarità dal significato poco chiaro, per ora.

Dal punto di vista tecnico, i segni mostrano che sono stati utilizzati strumenti con più aghi, forse di osso o di corno, e anche un ago singolo, e che il lavoro è stato interrotto alcune volte o, forse, eseguito da mani diverse. Fatto che non stupisce, visto che tatuare disegni così complicati può richiedere anche più di 5 ore. Si pensa inoltre che siano stati usati degli stencil per i disegni, e che poi siano stati applicati sulla pelle. Il pigmento era di tipo vegetale, bruciato, o forse fuliggine.

Infine, alcuni tatuaggi sembrano essere stati tagliati e danneggiati nel momento della sepoltura, fatto che suggerisce che fossero molto importanti in vita, ma non dopo la morte.

Anche l’uomo di Similaun, noto come Oetzi, morto circa 5.300 anni fa, aveva tatuaggi: ben 61.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 8 agosto 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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