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Con l’età il lupus eritematoso sistemico allenta la morsa, e i pazienti stanno meglio

Chi sviluppa un lupus eritematoso sistemico, la più grave delle malattie autoimmuni, tende a migliorare con l’età. Questo fatto, noto agli immunologi che seguono i pazienti nel tempo, ha ora una spiegazione biologica, grazie a uno studio pubblicato su Science Traslational Medicine dai reumatologi dell’Università della California di San Francisco. Gli autori hanno infatti analizzato nel dettaglio le proteine e i geni presenti in poco meno di 300 pazienti e di circa 900 controlli sani di tutte le età, e hanno così stabilito un andamento temporale per le diverse classi di citochine, linfociti e altre molecole del sistema immunitario e relativi geni coinvolti.

Senza scendere nel dettaglio, ciò che emerge è che durante la giovinezza e fino ai quarant’anni circa si ha una sorta di esplosione della reazione immunitaria, esagerata e rivolta contro la maggior parte di organi e tessuti. Tuttavia, a partire dai 50-60 anni, la produzione di linfociti specifici, di interferoni e di altri mediatori pro-infiammazione cala sensibilmente, e anche se la situazione non si normalizza mai del tutto, di sicuro lo scenario cambia radicalmente, anche dal punto di vista epigenetico, cioè dell’espressione o meno di alcuni dei geni coinvolti.

Ciò significa che potrebbe presto essere possibile valutare il momento biologico in cui si trova un certo paziente. E anche che, se chi si è ammalato non ha riportato danni troppo gravi nei primi decenni della malattia, può contare su una vecchiaia più serena, nella quale probabilmente sarebbe anche corretto modificare le terapie, rendendole meno aggressive.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 11 agosto 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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