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Nuove armi contro l’artrite "legata" alla psoriasi

Pubblicati sul New England Journal of Medicine i risultati di una sperimentazione su 600 pazienti con un anticorpo monoclonale indirizzato contro l’interleuchina 17A, molecola che appare come una protagonista dell’artrite psoriasica

di Emanuela Di Pasqua

L’artrite psoriasica (PsA) è una malattia infiammatoria cronica e sistemica che colpisce le articolazioni periferiche, i tessuti connettivi e lo scheletro assiale (cioè le ossa della testa, la colonna vertebrale e la gabbia toracica) ed è associata alla psoriasi della pelle. I farmaci cosiddetti biologici anti-TNF (anti-tumour necrosis factor-alfa) hanno migliorato in modo significativo la vita dei malati di PsA, tuttavia non tutti i pazienti trattati con questi medicinali hanno una risposta duratura o reagiscono in modo soddisfacente. Di qui la necessità di studiare terapie efficaci con meccanismi d’azione differenti. Come il secukinumab, per esempio, oggetto di una recente sperimentazione giudicata promettente, che potrebbe aprire un nuovo capitolo nella terapia di questa patologia.

LO STUDIO - Il secukinumab è un anticorpo monoclonale già usato per curare altre malattie autoimmuni. Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine documenta, adesso, i buoni risultati ottenuti da un’équipe internazionale anche sui pazienti con l’artrite psoriasica, nell’ambito di una sperimentazione di fase 3 (quella su un numero ampio di persone, che precede - se i buoni risultati vengono confermati e se arriva il via libera delle autorità di vigilanza - la commercializzazione). I ricercatori precisano, però, che il numero dei pazienti sottoposti al test è ancora troppo basso per valutare accuratamente gli effetti collaterali, ma il secukinumab sembra funzionare davvero e la possibilità che diventi un farmaco di prima linea nella terapia della PsA è elevata.

Il secukinumab è un inibitore dell’interleuchina 17A, in sigla IL-17A, una delle molecole (citochine) che coordinano la comunicazione tra le cellule immunitarie in risposta a un’infezione. Gli studiosi si sono resi conto che la IL-17A ha un ruolo significativo nell’insorgenza dell’artrite psoriasica, e per questo l’hanno scelta come bersaglio delle terapie. Lo studio prevedeva la somministrazione del secukinumab a 606 pazienti affetti da PsA, con il sistema del doppio cieco (cioè senza che né i pazienti né i medici sapessero a chi veniva somministrato realmente il nuovo farmaco, e a chi invece veniva dato un placebo). I pazienti avevano un’età media di 49 anni, con una preponderanza di donne.
La conclusione dello studio ha portato a dimostrare l’efficacia dell’anticorpo: oltre la metà dei pazienti trattati con secukinumab ha infatti raggiunto una risoluzione completa o quasi completa delle manifestazioni cutanee.

IL NUOVO BERSAGLIO - «L’interleuchina 17A è una citochina pro-infiammatoria coinvolta nel processo di formazione delle lesioni psoriasiche sia a livello della cute, che dell’infiammazione a livello articolare – spiega Enzo Berardesca, direttore del Dipartimento di Dermatologia Infiammatoria ed Immunoinfettivologica dell’Istituto Dermatologico San Gallicano di Roma. - La sua neutralizzazione mediante un anticorpo specifico permette sia di avere un trattamento efficace agendo alla base del processo infiammatorio, sia di agire in modo selettivo senza danneggiare altre strutture». Il meccanismo, come spiega Berardesca, è lo stesso anche a livello articolare. Il blocco dell’interleuchina 17A ferma la cascata infiammatoria e di conseguenza anche i sintomi dell’ artrite psoriasica (edema, gonfiore, dolore, impotenza funzionale e danno articolare). Al momento, invece, le terapie "classiche" per l’ artrite psoriasica si basano (a seconda della gravità) su anti-infiammatori non steroidei, metotrexate, cortisone e, nei casi più gravi, i farmaci biologici, in particolare gli anti-TNF.

LA MALATTIA - L’associazione tra la psoriasi e l’artrite era stata notata già ai primi del ‘900, ma solo da circa 30 anni è stato stabilito che l’artrite psoriasica è una forma a sé e non assimilabile all’artrite reumatoide o ad altre malattie autoimmuni, e che è associata alla malattia psoriasica. L’incidenza media dell’artrite psoriasica è difficile da misurare, ma si stima che riguardi circa il 30 per cento dei pazienti affetti da psoriasi. Le articolazioni prevalentemente colpite sono quelle delle mani, dei piedi, dei talloni e più raramente quelle della colonna vertebrale.

Nel lungo termine l’artrite psoriasica è una patologia che può debilitare e condurre a un decadimento della qualità della vita: per questo motivo è estremamente importante che il paziente con la psoriasi non sottovaluti nessun sintomo proveniente dalle articolazioni e si rivolga immediatamente al medico. L’artrite psoriasica si può curare e deve essere affrontata il più precocemente possibile, al fine di evitare che l’infiammazione induca danni permanenti e irreversibili alle articolazioni  interessate.

La diagnosi di psoriasi cutanea è relativamente facile e quando si hanno delle chiazze eritemato-desquamative persistenti una semplice visita dermatologica è in grado nella maggior parte dei casi di portare alla diagnosi corretta. Più complessa è la diagnosi di artrite psoriasica, come ribadisce Enzo Berardesca: «Non bisogna mai sottovalutare dolori e gonfiori articolari, specialmente alle mani e ai piedi, soprattutto se si soffre di psoriasi cutanea. Un’ecografia power Doppler, o una risonanza magnetica, permettono di chiarire la sede e l’entità dell’eventuale infiammazione o del danno articolare, e aiutano a formulare la diagnosi».

Data ultimo aggiornamento 19 ottobre 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: 
Trovata "chiave genetica" di dieci malattie autoimmuni
Contro la psoriasi un farmaco già approvato per l’artrite


Tags: artrite psoriasica, interleuchina 17A, psoriasi



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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