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Un vaccino contro
l’artrite reumatoide

Per la prima volta un’immunoterapia simile a un vaccino sembra funzionare contro l’artrite reumatoide. A dare prova che il sistema immunitario può essere educato a non reagire contro proteine appartenenti al suo organismo è uno studio su Science Translational Medicine. La prestigiosa rivista ha infatti pubblicato i risultati ottenuti da un gruppo di immunologi dell’Università del Queensland, in Australia, che dopo molti test positivi sugli animali hanno sperimentato l’immunoterapia anche su 18 pazienti.

In particolare, i ricercatori hanno selezionato alcuni pazienti CCP positivi, così definiti perché (come la stragrande maggioranza delle persone con artrite reumatoide) producevano anticorpi diretti contro la proteina CCP. Dopo aver prelevato dai partecipanti una particolare popolazione di cellule del sistema immunitario - le cellule dendritiche - gli immunologi le hanno messe a contatto con alcune porzioni della proteina CCP in presenza di agenti in grado di modulare la risposta immunitaria. In seguito le cellule dendritiche sono state reinfuse nei pazienti per verificare se fossero o meno diventate tolleranti alla presenza di CCP.

L’ipotesi è stata verificata: dopo un mese in chi aveva ricevuto questa sorta di vaccino la produzione di molte delle molecole infiammatorie tipiche dell’artrite reumatoide è risultata molto ridotta. Allo stesso tempo, anche l’incidenza delle ricadute e delle crisi infiammatorie è diminuita. Inoltre il vaccino è risultato ben tollerato.

Se i dati di questo studio dovessero essere confermati sul lungo periodo questo stesso approccio potrebbe essere utilizzato anche contro altre malattie autoimmuni per le quali è noto quali sono i bersagli degli autoanticorpi prodotti dalla risposta immunitaria anomala alla base della patologia.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 14 luglio 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: artrite reumatoide, cellule dendritiche, immunoterapia



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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