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Sclerosi sistemica, occhi puntati su due "famiglie" di batteri

Nel 90% dei casi chi soffre di sclerosi sistemica, una rara malattia autoimmune, ha a che fare con sintomi gastrointestinali che vanno dalla diarrea al meteorismo, dalla stitichezza all’incontinenza fecale. Nessuno, finora, aveva mai capito perché, ma ora uno studio presentato dai reumatologi dell’Università della California di Los Angeles all’ultimo meeting dell’European League Against Rheumatism (EULAR), svoltosi poche settimane fa a Roma, fornisce una prima possibile spiegazione di questo fenomeno. Questo studio suggerisce infatti che i sintomi gastrointestinali associati alla sclerosi sistemica potrebbero essere almeno in parte causati da un’alterazione della flora intestinale, e che questa alterazione potrebbe essere sfruttata anche per riconoscere la malattia e per tentare nuovi approcci terapeutici.

I ricercatori statunitensi hanno sottoposto 17 pazienti a una serie molto approfondita di esami dell’intestino che hanno permesso anche di determinare la composizione della loro flora batterica. Hanno così scoperto che le specie di batteri presenti in chi è affetto da sclerosi sistemica sono sensibilmente diversi rispetto a quelli riscontrabili nella popolazione sana; in particolare, in caso di sclerosi sistemica diminuiscono Bacteroides e Faecalisbacterium, due famiglie di batteri responsabili dell’assorbimento di importanti nutrienti, mentre altre specie potenzialmente patogene (Enterobacteriales e Fusobacterium) sono più rappresentate rispetto alla norma.

Lo studio sembra quindi proporre una prima interpretazione dell’origine di sintomi che compromettono seriamente la qualità di vita dei pazienti con sclerosi sistemica. La scoperta potrebbe inoltre indicare nuovi possibili approcci terapeutici basati, ad esempio, sull’assunzione di prebiotici e probiotici che aiutino a ripristinare l’equilibrio della microflora batterica intestinale.’

A.B.
Data ultimo aggiornamento 28 luglio 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: flora batterica intestinale, malattie rare, probiotici, sclerosi sistemica



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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