ONCOLOGIA
Vaccini universali anti-tumore
Uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Nature è stato "amplificato" dai giornali di mezzo mondo. In realtà occorreranno diversi anni ancora, prima di raggiungere risultati realmente applicabili

di Daniele Banfi (Fondazione Umberto Veronesi)
Nei giorni scorsi molti giornali hanno riportano la notizia della scoperta, ad opera di un gruppo di scienziati tedeschi dell’Università Johannes Gutenberg di Mainz, di un possibile vaccino universale contro il cancro. Uno studio, pubblicato dalla prestigiosa rivista Nature, che interpretato in questo modo sarebbe la definitiva mossa da “scacco matto” nella lotta ai tumori. Siamo di fronte a una vera rivoluzione o a una notizia ingigantita? La verità, in questo caso, sta nel mezzo: il vaccino sviluppato - che non previene il cancro bensì lo attacca - ha dimostrato di essere efficace in alcuni casi di melanoma agendo attraverso la stimolazione del sistema immunitario. Una strategia utilizzata da anni - l’immunoterapia - che oggi ha già portato sul mercato diversi farmaci in grado di cambiare la storia di diversi tumori. La vera novità è nella modalità con cui viene stimolato il sistema immunitario, teoricamente valido per qualunque tumore. Un approccio promettente, ancora in gran parte da valutare, che al momento è ancora ben lontano dall’essere considerato cura universale.
VACCINO TERAPEUTICO - Sgombriamo subito il campo da ogni equivoco: nell’immaginario comune i vaccini sono uno strumento utilizzato per prevenire le malattie. Grazie a essi diverse patologie come il vaiolo e la poliomielite sono state eradicate. Come spiega il professor Michele Maio, direttore del dipartimento di immuno-oncologia dell’azienda ospedaliera Le Scotte di Siena, «negli ultimi due decenni, accanto a questa definizione classica, si è affiancata quella relativa ai vaccini terapeutici. Questi, a differenza dei primi utilizzati per prevenire, hanno il compito di stimolare il sistema immunitario a rispondere contro un agente esterno. Un esempio è il cancro».
APPROCCIO VINCENTE - L’idea di utilizzare “qualcosa” capace di stimolare il sistema immunitario nella lotta al cancro nasce da un’evidenza molto semplice: ogni giorno nel nostro corpo alcune cellule accumulano diverse mutazioni genetiche che le predispongono a divenire cancerose. Fortunatamente, grazie al sistema immunitario, queste vengono riconosciute ed eliminate. Partendo dalla capacità innata del nostro corpo di riconoscere la presenza di componenti estranee è nata l’idea di cercare delle molecole capaci di pilotare, potenziare e stimolare questa risposta. «È questo il concetto dell’immunoterapia, una branca dell’oncologia che negli ultimi anni ha rivoluzionato la lotta ai tumori», spiega Maio. Non è un caso che le ultime edizioni del congresso Asco (il convegno della Società americana di oncologia clinica) l’immunoterapia l’abbia fatta da padrone. Ad oggi, grazie a farmaci già presenti sul mercato, questo approccio viene utilizzato correntemente per alcune forme tumorali come il melanoma, il cancro al polmone, il carcinoma renale e i tumori della testa e del collo.
STRATEGIA ALTERNATIVA - Cosa c’è di nuovo allora nella scoperta degli scienziati tedeschi? A loro va il merito di aver sviluppato una strategia alternativa per “accendere” il sistema immunitario. Ciò è stato possibile utilizzando delle specifiche molecole di Rna (simili, per certi aspetti, al Dna) incapsulate all’interno di speciali vettori ricoperti di acidi grassi. In altre parole delle piccole nanosfere che, iniettante nella persona malata, raggiungono le cellule del sistema immunitario fornendo quelle indicazioni necessarie a riconoscere il tumore. Una via alternativa alla stimolazione che già oggi viene fatta mediante l’utilizzo di farmaci a base di anticorpi. «Lo studio – spiega Maio - è molto interessante perché teoricamente si può istruire il sistema immunitario a rispondere contro uno specifico tumore a seconda dell’Rna che viene “caricato” nelle nanosfere». Ecco perché, in linea di principio, questo metodo potrebbe andare bene per tutti i tumori ed essere dunque “universale”. Al momento – a dispetto dei titoli trionfalistici - lo studio ha avuto successo in animali da laboratorio e in 3 persone affette da melanoma.
DIFFIDARE DALLA CURA UNIVERSALE - Secondo Maio, che collabora attivamente proprio con il gruppo di ricerca tedesco, «risultati definitivi sulla bontà di questa nuova forma di stimolazione del sistema immunitario non saranno disponibili prima di 3 anni». Nel frattempo la ricerca nel campo dell’immunoterapia procede spedita. Al recente congresso Asco di Chicago, che si è svolto dal 3 al 7 giugno, sono stati presentati molti studi al riguardo. Un esempio? Proprio un progetto italiano dell’Immunoterapia Oncologica dell’Azienda ospedaliero-universitaria Senese, diretta da Maio con la Fondazione NIBIT, sta valutando la risposta in alcuni pazienti affetti da mesotelioma, patologia tumorale rara legata all’esposizione all’amianto e priva - a oggi - di validi trattamenti. La lotta al cancro prevede un approccio integrato. Chirurgia, radio e chemioterapia non vanno in soffitta. L’immunoterapia è una strategia ulteriore per eliminare il cancro ma non rappresenta la soluzione a tutto. Grazie alla combinazione di tutte queste armi i tumori potrebbero diventare una malattia controllabile e cronicizzabile. Una cura universale non esiste. «Oggi già alcuni pazienti affetti da melanoma, a distanza di anni e grazie all’approccio combinato di più farmaci, pur avendo ancora tracce del tumore sono tornati ad una vita normale» conclude Maio.
Data ultimo aggiornamento 13 giugno 2016
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Tags: melanoma, Michele Maio, sistema immunitario