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Le microplastiche sono anche nelle flebo.
E amplificano la resistenza agli antibiotici

Le microplastiche arrivano all’organismo umano anche dalle fonti più impensabili. Una delle quali, appena indicata in uno studio, è doppiamente pericolosa, dato l’ambiente in cui si determina, quello ospedaliero. I ricercatori di alcune università cinesi hanno pubblicato, su Environment & Health, uno studio nel quale si dimostra che le sacche da fleboclisi infondono anche microplastiche, se la soluzione in esse contenuta non viene filtrata. Gli autori hanno analizzato le microplastiche (particelle con diametri da uno a oltre 60 millesimi di millimetro) contenute nelle soluzioni di due dei marchi più diffusi, e hanno scoperto che, in quelle da 250 millilitri, se ne trovano quantità molto rilevanti: 7.500 a sacca, degli stessi polimeri delle sacche. Il che significa che, per alcune procedure mediche complesse come gli interventi chirurgici addominali, che richiedono più sacche, una singola persona può essere “infusa” con 52.000 microplastiche (e a 25.000 per le idratazioni). La soluzione però, almeno in questo caso, è chiara: filtrare le soluzioni prima di farle arrivare in vena. In commercio esistono filtri che possono servire a questo scopo. Inoltre non si dovrebbero scaldare le sacche, né esporle alla luce dei raggi ultravioletti.

Un secondo studio fa poi capire perché queste plastiche possano essere particolarmente pericolose, oltre ai problemi dovuti all’accumulo nell’organismo. Secondo i ricercatori della Boston University le microplastiche funzionano anche come vettori della resistenza agli antibiotici. I dati, esposti in uno studio pubblicato su Applied and Environmental Microbiology, sono stati ottenuti con test in vitro, ma sembrano estremamente chiari. La resistenza agli antibiotici di ceppi di escherichia coli viene trasmessa dalle microplastiche, che funzionano come vettori. Un altro buon motivo per evitare di farne circolare in ambiente ospedaliero, almeno quando è possibile.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 17 marzo 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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