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L’antivirale valacyclovir, se assunto per un anno, protegge l’occhio dall’herpes zoster

C’è una forma di herpes zoster (la malattia che arriva molti anni dopo una varicella, che è causata dallo stesso virus, della famiglia degli herpes, e che è conosciuta anche come fuoco di Sant’Antonio, quando colpisce i nervi cranici e del dorso) che interessa specificamente l’occhio, e che colpisce 100mila persone ogni milione di coloro che hanno lo zoster. Contro di essa, finora, si faceva molto poco, con gravi conseguenze. Lo zoster oculare, infatti, oltre a provocare dolore e crisi ripetute, causa infiammazioni di tutte le parti dell’occhio, dalla cornea all’iride, e poi complicanze quali il glaucoma, e porta spesso a una perdita permanente di capacità visiva, deficit che può arrivare alla cecità. Ora però un grande studio, chiamato Zoster Eye Disease Study, durato otto anni, condotto in 95 centri di Stati Uniti, Canada e Nuova Zelanda, è arrivato a conclusione, e ha fornito indicazioni molto utili su una possibile soluzione. Come hanno riferito i coordinatori, virologi e oculisti dell’Università della Pennsylvania, al meeting annuale dell’American Academy of Ophthalmology svoltosi in ottobre, infatti, la somministrazione di un antivirale per un anno porta a un chiaro miglioramento della situazione. Nello studio, il valacyclovir, che di solito viene somministrato solo per qualche giorno, è stato dato a metà degli oltre 500 pazienti reclutati (agli altri è stato dato un placebo) per un anno appunto. Dopo un anno e mezzo, i pazienti trattati avevano avuto una diminuzione del rischio di peggioramento del 26%, una riduzione dei sintomi dolorosi e un calo del 30% del rischio di avere crisi ripetute di riacutizzazione.

Anche se non cura tutti i casi e non estirpa il virus, l’antivirale sembra comunque in grado di proteggere almeno in parte l’occhio, scongiurando la perdita di visione.

La prevenzione più potente resta comunque il vaccino, molto efficace e consigliato a tutti dopo i 50 anni, e agli immunodepressi dopo i 19 anni.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 12 novembre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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