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L’agopuntura può aiutare a prevenire
gli ictus associati all’artrite reumatoide?

L’artrite reumatoide è associata a un aumento del rischio di malattie cardiovascolari e ictus, a causa dello stato di infiammazione permanente che la caratterizza. Per abbassare tale rischio (soprattutto quello di ictus, oggetto della ricerca), l’agopuntura può essere di aiuto, perché, oltre ad alleviare il dolore, contribuisce a stabilizzare la pressione, a normalizzare il profilo dei grassi del sangue e, soprattutto, a tenere basso il rilascio di molecole associate all’infiammazione. Che sia così lo conferma uno studio pubblicato sul British Medical Journal Open dai reumatologi di diverse università taiwanesi, che hanno verificato i dati di oltre 23.000 pazienti che avevano ricevuto la diagnosi tra il 1997 e il 2010, 12.200 dei quali si erano sottoposti a vari tipi di agopuntura, in media entro tre anni dalla diagnosi, e per un totale di dieci sedute (sempre in media).

Nello specifico, poco meno di nove su dieci pazienti avevano partecipato a sedute di agopuntura tradizionale, manuale, il 3% a elettroagopuntura (nella quale l’ago trasmette una debole corrente elettrica) e il 10% aveva ricevuto entrambi i tipi di trattamento.

Durante il periodo di osservazione, tra questi pazienti ci sono stati 341 casi di ictus ischemico tra chi si era sottoposto ad agopuntura, e 605 tra gli altri. Si è avuto, quindi, un calo di incidenza del 43%, indipendente dal sesso, dall’età, dai farmaci assunti e dall’eventuale presenza di altre malattie. 

Va sottolineato che lo studio è osservazionale, e quindi registra la coesistenza dei due fenomeni, ma non dimostra l’esistenza di un rapporto di causa ed effetto. Tuttavia, anche pensando a ciò che – è ormai dimostrato – fa l’agopuntura, è lecito pensare che la tecnica millenaria contribuisca a contenere il rischio.

Inoltre, il suo effetto antidolorifico, che aiuta i pazienti a non soffrire dei dolori e della rigidità mattutini tipici della malattia, potrebbe anch’esso contribuire, permettendo ai malati di svolgere più attività fisica, altro fattore che abbassa il rischio cardio- e cerebrovascolare.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 21 febbraio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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