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Immunoterapia, nuovi "mix" contro i tumori


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di Agnese Codignola

Sono arrivati dal congresso dell’American Society for Clincal Oncology (ASCO), il più importante appuntamento mondiale per l’oncologia (che si svolge a Chicago), conferme significative in merito al ruolo delle terapie antitumorali basate sullo stimolo al sistema immunitario che, secondo alcuni esperti, entro cinque anni sostituiranno la chemioterapia come primo approccio alla malattia. Due degli studi salutati dall’assise come cruciali sono usciti sulle pagine del New England Journal of Medicine, una delle più prestigiose riviste mediche del mondo, e parlano anche italiano.

Nel primo studio si dimostra che l’unione di due anticorpi monoclonaliGli anticorpi monoclonali sono anticorpi del tutto simili a quelli che il sistema immunitario produce contro i “nemici” (batteri, virus e altro ancora), ma non sono presenti in modo naturale nel nostro organismo. Vengono creati in laboratorio, grazie a tecniche di ingegneria genetica, e sono mirati contro un preciso bersaglio della malattia, identificato dai ricercatori: per esempio, nel caso del Covid, contro la proteina Spike, utilizzata dal coronavirus per entrare nelle cellule e infettarle. Una volta prodotti, vengono fatti moltiplicare in laboratorio, identici, in un numero grandissimo di copie, o di cloni (per questo vengono chiamati monoclonali), e poi immessi nell’organismo del paziente, in genere tramite infusione (endovena). che agiscono a livelli diversi, ma entrambi per sbloccare il sistema immunitario del paziente, chiamati ipilimumab e nivolumab, se dati ai malati di melanoma avanzato mai trattati prima, riescono ad allungare la sopravvivenza senza recidive da poco meno di tre mesi con il solo ipilimumab o da poco meno di sette con il solo nivolumab, a quasi un anno, arrivando, in alcuni casi, a 14 mesi. Allo studio, condotto su quasi mille pazienti in diversi Paesi, ha partecipato uno dei massimi esperti mondiali della materia, Michele Maio, responsabile del reparto di immunoterapia dei tumori dell’Ospedale Santa Maria alle Scotte di Siena, da anni in prima linea in molte delle sperimentazioni che hanno portato questo approccio a rivoluzionare il campo.

Maggiori dettagli su questa ricerca nel sito della Fondazione Umberto Veronesi: clicca qui

Nel secondo studio, invece (pubblicato sempre dal New England Journal of Medicine), il tumore sotto attacco era quello polmonare non a piccole cellule. Anche in questo caso gli studiosi (un folto gruppo, tra cui Marina Garassino, dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano) hanno utilizzato il nivolumab. L’anticorpo monoclonale è stato somministrato a circa 150 pazienti con malattia avanzata, mentre altrettanti venivano sottoposti alla chemioterapia classica, e i risultati sono stati significativi: la sopravvivenza è passata da 6 a 9 mesi; dopo un anno era ancora in vita il 42% dei malati trattati con nivolumab, contro il 24% dei pazienti che avevano ricevuto altri farmaci.’

Data ultimo aggiornamento 8 giugno 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: immunoterapia, ipilimumab, melanoma, Michele Maio, nivolumab



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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