ONCOLOGIA
Immunoterapia efficace anche per il polmone
Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine dimostra che un farmaco chiamato Pembrolizumab (un anticorpo monoclonale) aiuta a contrastare il carcinoma polmonare definito non a piccole cellule, con risultati migliori rispetto alla chemioterapia. Funziona in un paziente su tre

di Fabio Di Todaro (Fondazione Umberto Veronesi)
È considerata una delle frontiere più incoraggianti della lotta al cancro. L’immunoterapia, che punta a rafforzare le difese del sistema immunitario contro il tumore, s’appresta a scrivere nuovi capitoli dell’oncologia medica. Dopo essersi affermata nella lotta al melanoma, oggi mostra importanti risultati anche per la cura del tumore del polmone. Le notizie incoraggianti giungono da Copenaghen, dove si è svolto nelle settimane scorse il congresso della Società Europea di Oncologia Medica (Esmo).
IL FUTURO DELL’IMMUNOTERAPIA - Si chiama Pembrolizumab la molecola che si spera contribuirà a riscrivere la storia terapeutica del tumore al polmone. Finora era la chemioterapia la prima opzione per contrastare la progressione della malattia non a piccole cellule (la forma più frequente, che colpisce anche i non fumatori) in stadio avanzato. Già dai prossimi anni, invece, l’approccio potrebbe mutare in maniera radicale per molti malati. Come si evince da uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, condotto su 305 pazienti provenienti da 16 Paesi e affetti da un tumore del polmone non a piccole cellule in fase avanzata, l’immunoterapia a base di Pembrolizumab ha evidenziato risultati migliori rispetto alla chemioterapia. In particolare, una sopravvivenza di 10,3 mesi rispetto ai sei mesi con gli antitumorali già in uso e una sopravvivenza globale a sei mesi dell’80,2 per cento rispetto al 72,4 per cento. Il tasso di risposte si è rivelato essere più alto nei pazienti trattati con pembrolizumab e gli eventi avversi di ogni grado meno frequenti.
PAZIENTI SELEZIONATI - Requisito affinché il trattamento fosse efficace era l’espressione sulle cellule tumorali della proteina PD-L1, che legando alcuni recettori presenti sulle cellule immunitarie ne inibisce l’azione. Il marcatore è presente nel trenta per cento dei pazienti che si ammalano di tumore del polmone. Ciò vuol dire che questi ultimi, invece di essere trattati con i farmaci a base di platino, potranno passare all’immunoterapia. In questi casi l’immunoterapia si è infatti rivelata efficace nella prima linea di trattamento, ovvero subito dopo la diagnosi. «Aver trovato questo marcatore di selezione molecolare fa si che invece di sottoporre il paziente alla chemioterapia in prima linea, si passi direttamente all’immunoterapia, con un cambio di marcia straordinario nella qualità di vita del paziente», dichiara Fortunato Ciardiello, direttore del dipartimento universitario di internistica sperimentale e clinica alla Seconda Università di Napoli e presidente della Società Europea di Oncologia Medica.
COME FUNZIONA L’IMMUNOTERAPIA? - Il futuro del tumore del polmone potrebbe dunque non più dipendere dall’esito della chemioterapia, ma da un fondamento scientifico completamente diverso. A differenza della prima, con cui si «spara» un farmaco sulle cellule cancerose con l’obiettivo di distruggerle (ma nemmeno in maniera troppo selettiva), l’obiettivo dell’immunoterapia è quello di scatenare il sistema immunitario affinché elimini le cellule cancerose. Da almeno quindici anni si lavora nei laboratori per istruire le cellule che costituiscono la «barriera» del nostro organismo nei confronti delle cellule tumorali. Diversi studi nel passato hanno dimostrato che il sistema immunitario in presenza di cellule tumorali si attiva per cercare di eliminarle. È in questo modo che si punta, come ribadito all’unisono dagli esperti riunitisi in Danimarca, «a fare del cancro una malattia cronica, con cui poter convivere anche per diversi anni».
DAL MELANOMA AL TUMORE DEL POLMONE - I successi già ottenuti con l’immunoterapia nei confronti del melanoma si punta adesso a ripeterli con altre neoplasie. E quelle del polmone potrebbero essere le prime. «Siamo di fronte a dati che non si limitano a una significatività solo statistica, ma implicano un impatto concreto nella pratica clinica quotidiana - afferma Silvia Novello, docente associato di oncologia medica all’Università di Torino -. Il 60-70 per cento delle neoplasie polmonari è diagnosticato in fase avanzata di malattia. L’immunoterapia finora aveva mostrato risultati positivi in seconda linea. Ora queste armi dimostrano di essere efficaci in prima linea, quindi al momento della diagnosi, e anche nell’istologia non-squamosa, che rappresenta la grande maggioranza dei pazienti. Il vantaggio per i pazienti è significativo. Se rispondono a determinati requisiti, possono evitare la chemioterapia e aver accesso a farmaci innovativi caratterizzati da una tollerabilità migliore rispetto alla chemioterapia».
ALTRI RISCONTRI NEL TRATTAMENTO IN SECONDA LINEA - Ulteriori riscontri incoraggianti sono giunti da un altro farmaco, l’Atezolizumab, in grado di prolungare di quattro mesi (rispetto alla chemioterapia) la vita media dei pazienti affetti da un tumore del polmone non a piccole cellule, a cui corrisponde oltre l’85 per cento delle diagnosi effettuate ogni anno nel mondo. Nello studio OAK sono stati coinvolti i pazienti già trattati con uno o più chemioterapici a base di platino (seconda e terza linea). «La ricerca ha dimostrato come tutti i pazienti possano beneficiare di questa terapia - chiosa Federico Cappuzzo, primario del reparto di oncologia medica dell’ospedale di Ravenna -. Avendo dimostrato una significativa efficacia, sia nel carcinoma squamoso sia nel non squamoso, atezolizumab può diventare una terapia standard nel trattamento di seconda linea per questa malattia».
Data ultimo aggiornamento 20 novembre 2016
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