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Il Long Covid è associato a un evidente incremento delle malattie autoimmuni

Quella che finora era un’osservazione è diventata una solida realtà scientifica, che potrebbe avere importanti ripercussioni: l’infezione da Sars-CoV 2, specie se grave, soprattutto in chi non è stato vaccinato, nelle donne e in chi è stato colpito dalle prime varianti come la delta, ha portato e continua a portare a un netto aumento del rischio di sviluppare una tra numerose possibili malattie autoimmuni. Il Long Covid sarebbe quindi, in molti casi, l’esordio di una patologia nella quale il sistema immunitario che ha reagito al coronavirus non riuscirebbe a tornare alla normalità, e si rivolgerebbe contro qualche tessuto od organo dell’organismo. Lo conferma un grande studio pubblicato su JAMA Dermatology dai ricercatori del Department of Dermatology della Yonsei University Wonju College of Medicine di Wonju, in Corea, che hanno attentamente verificato la situazione di poco meno di sette milioni di concittadini. Poco meno di metà aveva avuto un Covid, e per questo, di loro sono stati controllati i sei mesi successivi alla diagnosi, avvenuta tra il 2020 e il 2022. L’altra metà non si era ammalata, e per costoro, invece, sono stati verificati i dati medici risalenti dal 2018 e poi durante gli anni fino al 2022. Ala fine, l’incidenza di decine di malattie autoimmuni è risultata aumentata tra i primi. In particolare, è emerso un incremento di malattie della pelle come l’alopecia areata e quella totalis, la vitiligine e la pemphigo bollosa, di quelle intestinali come il morbo di Chron e colite ulcerosa, di quelle reumatiche come la spondilite anchilosante, l’artrite reumatoide, sindrome di Sjögren, di quelle dei vasi come la malattia di Behçet e del lupus, che colpisce più organi contemporaneamente.

L’aumento di rischio sembra quindi riguardare quasi tutte le principali patologie autoimmuni, e saperlo significa riuscire finalmente a predisporre cure adeguate per malati che, finora, ne hanno avute ben poche. Inoltre, conoscere i meccanismi attraverso i quali di sviluppano le reazioni del Long Covid potrebbe portare a identificare strategie preventive, e a una migliore comprensione e gestione delle sindromi post virali che caratterizzano anche molte altre infezioni.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 25 novembre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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